Sarà perché il No è in vantaggio nei sondaggi: l’ultimo, realizzato da Demos per Repubblica e reso noto domenica, vede i contrari alla riforma avanti di 4 punti sui favorevoli (39% a 35). Sarà perché il terremoto che è tornato a colpire il Centro Italia nell’ultima settimana ha inevitabilmente messo in secondo piano il dibattito sul referendum del 4 dicembre. Fatto sta che nell’agone politico, proprio nelle ultime 72 ore, si è formato un nuovo partito, che al momento riunisce al suo interno pochi adepti ma che potrebbe ulteriormente crescere. È il partito del rinvio. Animato da chi, appunto, vorrebbe che l’appuntamento con le urne fissato fra un mese fosse rinviato a causa del sisma. Solo una boutade? Per il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, si tratta di questo. “È una cosa che per quello che mi riguarda non esiste – ha spiegato il numero uno di Palazzo Chigi –. Il referendum si terrà il 4 dicembre come abbiamo fissato, nessuno ci ha chiesto peraltro di fare il contrario”.
FRONTE DEL SÌ
Sarà. Ma a lanciare il sasso nello stagno, a dire il vero, non sono state le opposizioni. Bensì Pierluigi Castagnetti, ex parlamentare di lungo corso passato dalla Dc fino al Pd, vicino al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. “Secondo me ci sono le condizioni per rinviare il referendum”, ha spiegato l’ex segretario del Partito popolare: “Ci sono tre regioni coinvolte, migliaia di sfollati, non riesco a immaginare in quali luoghi si possa votare all’interno delle zone terremotate e con quali scrutatori”. Certo, Castagnetti ha tenuto a precisare che “una scelta del genere si fa solo con l’accordo di tutte le forze politiche” e che “il governo non può e non deve fare da solo”. Così le forze politiche hanno subito risposto. D’accordo si è detta Area popolare (Ncd più Udc). Per l’ex ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, che insieme a Fabrizio Cicchitto ha chiesto un intervento di Mattarella, si potrebbe infatti “sostituire subito la campagna elettorale con una stagione di responsabilità repubblicana, fatta di reciproco ascolto e di decisioni condivise sulla ricostruzione, sulla stabilità bancaria, sulla stessa legge elettorale e sui fondamentali rapporti con l’Europa”. La pensa così anche Ulisse Di Giacomo. “Far slittare il referendum di qualche mese”, ha detto il vicepresidente del gruppo Ap al Senato, “non solo rappresenterebbe un risparmio immediato di circa 300 milioni che potrebbero essere utilizzati per le emergenze del sisma, ma consentirebbe a Governo e Parlamento di dedicarsi alla ricostruzione in un positivo clima di collaborazione tra forze politiche”. E Gianfranco Librandi (Scelta Civica): “Sarebbe opportuno rinviare il referendum alla primavera del 2017, magari abbinandolo con il turno delle elezioni amministrative”.
FRONTE DEL NO
Dentro al Pd gli stati d’animo sono contrastanti. “Io rifletterei molto sull’idea di dare un messaggio che è in qualche modo di rinuncia ad esercitare una prova democratica qual è quella del referendum”, le parole della vicepresidente della Camera, Marina Sereni. “Non credo ci siano le condizioni per un rinvio della data di svolgimento del referendum”, ha tagliato corto Federico Fornaro, senatore della minoranza dem. Chi di rinvio non vuole sentire minimamente parlare è Forza Italia. “È evidente che la situazione dell’Italia centrale è fonte di enorme preoccupazione ma il referendum è un’altra cosa: è un impiccio di cui dobbiamo liberarci”, ha attaccato il capogruppo a Palazzo Madama, Paolo Romani. Per Alessandro Pagano (Lega Nord) “l’ipotesi rinvio è surreale, rischia anzi di esasperare ulteriormente i toni, proiettando questa sfida ai tempi supplementari”. Più cauto, per ora, il M5S. “Quando il governo ci fornirà tutte le informazioni necessarie ci potremo esprimere”, ha sottolineato Danilo Toninelli.