No, l’economia non è tutto. Sono anche altri gli indicatori che permettono di leggere la qualità della vita di un dato territorio. Purtroppo, però, oggi “a causa dell’ideologia neoliberista, la finanza ha soppiantato la politica”, sostiene il sociologo Domenico De Masi: “Al di là dei dati economici, ci sono altri aspetti fondamentali”.
Ad esempio, professore?
Un indicatore molto importante è il numero dei laureati. L’Italia ha il 23% dei laureati, la California il 66%. Basterebbe questo gap per far capire che c’è una bella differenza tra un Paese in cui la maggioranza ha una cultura di livello superiore e un Paese in cui la maggioranza ha una cultura di livello primario. Ovviamente, è solo un esempio. Ma il punto di fondo è che il criterio economico è certamente importante, ma non è il solo. Ce ne sono altri importanti e che hanno un’incidenza notevole sull’andamento di un Paese.
Quali, ad esempio?
L’indice di felicità. L’Happiness Index è molto attendibile perché basato su una serie di fattori, che vanno dalla percentuale di delitti in un dato territorio alle attrezzature per il tempo libero, ai posti letto negli ospedali e così di seguito. Insomma, ci sono una serie di fattori da cui si deduce che non sempre il benessere complessivo, la cosiddetta “qualità della vita”, corrisponda con la graduatoria economica.
Perché in Italia non c’è mai stata particolare attenzione all’indice di felicità?
Guardi, in realtà quando c’era Enrico Giovannini all’Istat, era in avanzata organizzazione la produzione di un indice di felicità che peraltro già allora era stato introdotto in Inghilterra e in altri Paesi. Giovannini si è battuto molto a riguardo. Il fatto è che a noi non risulta neanche percepibile come mai la Norvegia sia al primo posto sempre.
In che senso?
L’approccio è spesso superficiale. Si pensa: “in un Paese così freddo, con sei mesi di luce e sei di buio, come fanno a essere felici?”. In realtà c’è un qualità della vita che compensa questi handicap e che fanno sì che la persona viva in modo più sereno: c’è una bassissima percentuale che si venga scippati, c’è un’alta possibilità di essere curati in tempi rapidi dalla sanità pubblica, c’è un welfare globale. E così via.
Da che cosa dipende questo approccio superficiale che finisce per considerare solo il dato economico?
Il punto è che noi, in Occidente, viviamo intrisi di economia neoliberista. E per il neoliberismo la finanza soppianta la politica e l’economia. Si ragiona in base a quello che dicono le agenzie di rating e basta. Questo è nella natura dei Paesi neoliberisti.
A cosa porta tale situazione?
Il risultato finale è che aumenta il divario tra ricchi e poveri. E questa è la ragione per la quale la sinistra è in crisi. Non è un caso che abbiamo avuto il neoliberismo e non abbiamo avuto un neomarxismo. Quelli che aderivano a una visione di sinistra, ma non avevano un apparato tecnico e scientifico per affrontare il mondo da sinistra, hanno adottato pure loro le idee neoliberiste e quindi si sono suicidate. L’esempio italiano è quello più fulgido.
In che senso?
C’era un partito comunista con Togliatti, poi Berlinguer lo trasformò in partito socialdemocratico e poi Renzi l’ha trasformato in partito neoliberista, tanto è vero che Renzi è sempre stato pienamente d’accordo con Calenda. Per carità: tutto il rispetto per l’idea neoliberista, ma non ha nulla a che fare con la sinistra. C’è, d’altronde, la cartina di tornasole del Reddito di cittadinanza, che di fatto è stato criticato sia dalla Chiesa che dal Pd.
Stesso discorso anche per il salario minimo. Secondo lei perché?
Ci sono due motivi. La Chiesa vuole il monopolio dei poveri, che ci pensi solo lei e che gli altri non si intromettano, anche perché i poveri sono quelli a cui il messaggio religioso arriva in maniera più diretta. Invece per quanto riguarda il Pd, è intriso di neoliberismo dal momento che gran parte degli eletti, deputati e senatori, sono stati scelti da Renzi sulla base di una selezione attentissima che fossero di tipo neoliberista.
Qual è l’alternativa al neoliberismo, per riprendere in mano criteri diversi per leggere la qualità della vita?
Bisogna passare a un’idea solidarista, a un’economia solidarista. Bisogna dare importanza ai problemi sociali e non solo a quelli economici. Anzi, preciso: bisogna dare importanza ai problemi sociali a prescindere da quelli economici. Non possiamo aspettare che, facendo arricchire i ricchi, il benessere sgoccioli sui poveri. Oggi nonostante la crisi, o forse grazie alla crisi, i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri più poveri. Occorre una politica tesa a equilibrare questo stato delle cose.