di Lapo Mazzei
Un dato almeno è certo. Il governo che verrà una cosa dovrà farla subito: cambiare la legge elettorale. Anche a costo di non fare altro. Perché il cambio di sistema di voto è stato posto dal capo dello Stato come una condizione essenziale. Se non addirittura come la condizione. D’altro canto se si depura l’intervento di Giorgio Napolitano dai capitoli nei quali ha bacchettato tutte le forze politiche ciò che resta è un chiaro programma di governo. Dal quale non si potrà prescindere. E dal quale il presidente del Consiglio che verrà non potrà non partire per portare a termine la missione che gli sarà affidata dal Quirinale.
Dunque il dominus della situazione sarà un esecutivo del presidente o una compagine politica che andrà a Palazzo Chigi con un mandato ben preciso? La sensazione, dopo l’intervento di ieri, è che si vada verso la prima soluzione, con varie ed eventuali lasciate in mano ai partiti. Insomma, non è più il momento di scherzare come ha detto a chiare lettere Napolitano. Come invece sarebbero ancora tentati di fare le correnti interne al Pd, irresponsabili quanto i grillini.
Il veto posto da Rosy Bindi sull’eventuale scelta di Enrico Letta è quanto mai preoccupante. Soprattutto perché confermato dalla stessa esponente del Pd dopo l’intervento del capo dello Stato. “Certo che faremo un governo” ha detto. Ma un governo con il Pdl? “Vedremo, domani vedremo”. Per fortuna, nel suo intervento il capo dello Stato ha ridotto ai minimi termini questa possibilità. “Tutte le forze politiche si prendano con realismo le loro responsabilità: era questa la posta implicita dell’appello rivoltomi due giorni or sono”. Insomma, uscite dai tatticismi e pensate al Paese.
Impazza il totoministri
Dunque avanti con Giuliano Amato, altro nome che circola con insistenza? Possibile, ma non probabile, nell’ottica delle grandi intese e dei desideri del Colle. “Per ragioni svariate il mio nome viene fuori molte più volte di quanto venga fuori io”, dice Amato a chi gli chiede sul suo possibile incarico a capo del nuovo governo. “Non credo al mio nome quando viene fuori: credo più a me stesso”.
E allora è costretto a pensarci il Quirinale, che già oggi avvierà le consultazioni, avendo in testa quale schema di gioco adottare, compreso uno scatto d’orgoglio che vada oltre gli steccati e i nomi che corrono. Che sono quelli di Fabrizio Saccomanni (attuale direttore di Bankitalia), Sergio Chiamparino, Anna Maria Cancellieri, Angelino Alfano, Corrado Passera e, ovviamente, Matteo Renzi. Impossibile non fare anche il suo nome. Più ampia ed articolata, invece, la lista del toto-ministri. Si parla di Massimo D’Alema come ministro degli Esteri, della stessa Anna Maria Cancellieri, che potrebbe continuare il suo lavoro al Viminale, così come per Saccomanni resta l’opzione del ministero dell’Economia. Quest’ultimo ruolo, comunque, potrebbe essere affidato anche ad Enrico Letta, nel caso in cui non dovesse andare a Palazzo Chigi. Tra le ipotesi relative al ministero degli Esteri, oltre a D’Alema, si pensa anche a Mario Monti. A Luciano Violante potrebbe andare il ministero della Giustizia, ruolo che potrebbe restare però anche a Paola Severino. Per quanto riguarda il ministero delle Riforme, in prima fila c’è Gaetano Quagliariello, uno dei dieci saggi scelti dallo stesso Napolitano. Il viceministro dell’Economia o il responsabile dell’Agricoltura, secondo quanto proposto dalla Lega, potrebbe essere Giancarlo Giorgetti, un altro dei dieci saggi. Enzo Moavero Milanesi, invece, è il nome fatto dalla Lista Civica per le Politiche Comunitarie.
La previsione di Riccardi
In mezzo a questo fiorir d’ipotesi i leader dei maggiori parti avanzano con cautela. “Non parliamo ora di nomi”, dice Silvio Berlusconi, “si deve partire dalle soluzioni ai problemi che noi metteremo sul tavolo”, sottolinea l’ex presidente del Consiglio, sottolineando la necessità di “sederci ad un tavolo e superare le contrapposizioni del passato”. Che non sarà affatto facile visto che la Lega ha deciso di muoversi in autonomia, i grillini porteranno al Colle un proprio nome, Vendola è già pronto a votare no contro il governo delle larghe intese, così come Dario Franceschini: “Non penso a un governo politico: in Italia non ci sono le condizioni per avere Letta, Bersani, Alfano e Berlusconi nello stesso governo”.
Infine i montiani: “Credo negli anni prossimi si riabiliterà l’esperienza del governo Monti”, afferma il ministro Andrea Riccardi, che vorrebbe proseguire il suo lavoro, “ma credo che questa volta deve esserci un governo politico”. Detto da uno dei tecnici di Monti, vuol dire che siamo un passo avanti. E oggi si parte con le consultazioni.