E ora vediamo se ci riesce lui a risalire a bordo. Il comandante Gregorio De Falco, inventato senatore dai Cinque Stelle dietro l’impegno di seguirne la linea politica, dopo settimane di scelte dissidenti e crescenti provocazioni è stato espulso dal Movimento. E ad essere messo alla porta non è solo lui. Il collegio dei Probiviri ha cacciato anche il senatore Saverio De Bonis e gli eurodeputati Marco Valli e Giulia Moi. Solo un richiamo – cioè una sorta di cartellino giallo – è andato al senatore Lello Ciampolillo mentre sono archiviati i procedimenti disciplinari per i senatori Virginia La Mura e Matteo Mantero. Restano pendenti infine i giudizi sugli altri due senatori dissidenti, Paola Nugnes e Elena Fattori.
Decisioni drastiche, dunque, che avranno anche un prezzo in senato dove la maggioranza gialloverde non ha margini larghissimi, ma che riportano ordine tra gli eletti del Movimento, in qualche caso andati più che a briglia sciolta. Portata a casa la Manovra, Luigi Di Maio si è messo il cappello di leader e non solo ha fatto pulizia, ma ha inviato un chiaro segnale a tutti gli altri parlamentari scrivendo in un Tweet che “Tutti sono importanti, nessuno è indispensabile”. E pertanto chi non sostiene il contratto di governo è fuori dal Movimento, perché “Il rispetto degli elettori viene prima di tutto”.
Quindi il vicepremier ha fatto il suo affondo: “Qualcuno crede che per il solo fatto di essere senatore allora sia indispensabile per il Governo e per questo possa trasgredire le regole che ha firmato. Non è così. Noi siamo gente seria che rispetta gli impegni presi con i cittadini. Tutti sono importanti, nessuno è indispensabile. E se ci sono altri senatori o deputati che non intendono più sostenere il contratto di Governo, per quanto mi riguarda sono fuori dal MoVimento, anche a costo di andarcene tutti a casa”.
De Falco ha risposto parlando di “mancanza di cultura democratica”, ma non c’è dubbio che la sua dissidenza diventata il principale argomento dei detrattori dei Cinque Stelle stava facendo rivoltare la base. L’episodio riapre comunque il tema di un’altra grande riforma del Paese di cui si parla poco, come di molte altre d’altra parte: la necessità di istituire una qualche forma di vincolo di mandato, perché chi è stato mandato dagli elettori a realizzare un preciso programma poi non diventi l’ennesimo voltagabbana, inseguendo improvvise giravolte personali o, peggio, qualche sopraggiunto interesse di bottega.
Una riforma che non imprigioni la piena autonomia degli eletti, sempre liberi di dimettersi dalla carica parlamentare, ma metta fine al mercato delle vacche che è diventato il nostro Parlamento, con oltre 500 cambi di casacca nella scorsa legislatura, e in questa già tanta voglia di fare pure peggio.