Marco Tarquinio ex direttore di Avvenire, oggi candidato indipendente alle Europee con il Pd, come mai la scelta di impegnarsi in prima persona in politica e perché proprio in Ue?
“Ho accettato la sfida di candidarmi perché credo che questo sia un momento storico decisivo. È necessario fare tutto il possibile per la pace e contro il ritorno alla guerra come strumento principe della politica. L’Europa o è pace o non è. Con il metodo che ha garantito pace fra i popoli europei, oggi l’Unione Europea deve saper agire anche sul piano globale usando le leve della politica e della diplomazia. Non è accaduto, ahinoi, e le recenti guerre hanno fortemente indebolito l’Ue. Incapace di parlare davvero con una sola voce e di promuovere iniziative politico-diplomatiche, l’Unione sembra essersi ritagliata un ruolo di fabbrica e arsenale di armi per le quali sta spendendo grandi risorse e intende farlo di più, usando anche quelle che erano state destinate a sostenere la crescita, il welfare e per contrastare la crisi climatica. Addirittura ci si propone di usare per produzione e accumulo di armamenti lo strumento del debito comune dei 27. È necessario mettere insieme le forze di tutti i progressisti per tornare indietro dall’orlo dell’abisso sul quale stiamo ballando ormai da mesi”.
In questa campagna elettorale molti partiti sembrano voler rincorrere il tema della pace. Lei, da pacifista della prima ora, non teme che la sua candidatura sia stata un po’ strumentalizzata?
“Non ho strumentalizzato mai nessuno, da giornalista. E non ho mai accettato di essere “usato”. Sono uomo di pace, da sempre. E sempre ho sostenuto che solo la diplomazia, i negoziati pazienti ed efficaci, le intese, gli accordi, le politiche condivise, i necessari compromessi possono garantire il nostro presente e il futuro delle giovani generazioni. La guerra porta solo distruzione e morte, genera odio e riproduce se stessa. Il dialogo, anche per me, è invece la via maestra. È stato così pure nel mio lavoro di cronista: da direttore di Avvenire, tenevo una quotidiana rubrica per scambiare opinioni con i lettori, ascoltandoli nel consenso come nel dissenso, e ho imparato a tener conto e a far tesoro di tutto. Senza rinunciare a una bussola chiara. Porto questo stile anche nell’impegno politico e, oggi da indipendente, nel dibattito all’interno del Pd”.
La sua candidatura ha anche fatto rumore nel Pd tra chi la critica per le sue posizioni pacifiste e per quelle sull’aborto, le pesa questo ruolo di oggetto estraneo al partito così tanto contestato in alcuni casi?
“Il Pd è un grande partito, ben prima delle visioni e dei sentimenti personali, e, oltre ai giochi di corrente che non mi riguardano, c’è la possibilità e volontà di riallacciare profondamente i fili con la società civile e di interpretarne le istanze più profonde, ci sono orizzonti comuni e valori su cui fondare convivenza e proposta. Bisogna saperlo fare e intendo verificarlo a fondo e con fiducia, dando – se elettrici e ed elettori lo vorranno – un onesto contributo. Sono ancora “straniero” e qualcuno lo ha fatto pesare, ma constato che avviene più sulla stampa che in questa comunità politica… la gente che incontro è vera, esigente e aperta. Le preoccupazioni e posizioni su pace e guerra e sulle armi a cui do voce sono di tante e tanti anche dentro il Pd e nel suo possibile elettorato, lo constato ogni giorno. E a proposito dell’aborto, che considero una libertà tragica, ho detto e scritto molte volte che la legge 194 va applicata, per davvero e interamente, e non va toccata. Nessuno vuole il ritorno alle mammane e agli aborti fatti con il ferro da calza. La mia tenerezza per la vita, sempre e comunque, e il mio impegno si accompagnano all’ascolto delle donne e al rispetto vero e a grandi battaglie ideali comuni. Mi colpisce che siano soprattutto uomini ad attaccarmi, deformando la mia posizione…”.
Negli scorsi giorni ha parlato di scioglimento della Nato: perché pensa che non basti una revisione e come giudica la reazione del Pd a queste sue parole?
“Penso che vada superata, l’unica formula è questa. Non è da riformare, ma da ripensare sulla base di un pilastro europeo forte, federale. E deve essere un’alleanza difensiva, non offensiva. Non è una cosa che si fa in un giorno, ma questo è un discorso che faccio da 30 anni, da quando è stato sciolto il patto di Varsavia. Non so se abbiamo chiaro il quadro oggi:
Stoltenberg arriva a dire che ogni singolo Stato della Nato può autorizzare che le armi vengano usate per attaccare la Russia, quando si sa che la dottrina russa prevede che ogni attacco scatena una risposta. Quindi se c’è poi una ritorsione della Russia entriamo tutti in guerra? Se l’articolo 5 si applica è così, se non si applica allora a quel punto la Nato è auto-sciolta. Ma si rendono conto che tempi stiamo vivendo? Io penso che nel Pd moti l’hanno capito, c’è un dibattito serio. Rispetto quanto dicono la segretaria e gli organi di partito, ma io pongo un problema che è sotto gli occhi di tutti in questo momento. E penso che la gente più che mai oggi voglia la pace e sono grato al Pd che candida quelli come me, Strada e Bartolo. Poi nel Pd il dibattito è legittimo, purché ci si renda conto della gravità dell’ora”.
Teme che la nuova legislatura europea, nella quale si rischia uno sbandamento a destra, possa sancire una frenata per il Green deal in favore di una politica del riarmo?
“La frenata, purtroppo, c’è già stata e comunque i disastri della guerra sono anche disastri ambientali. Come dicevano i padri fondatori dell’Unione Europea, i sovranismi e i nazionalismi alimentano la guerra, i rischi sono molto concreti, questa corsa a delimitare i confini nazionali, a voler limitare l’Europa, non porta altro che divisioni, conflitti, guerre e divora risorse per le armi. Di questo passo si va verso un’economia di guerra, il presidente del consiglio europeo, Charles Michel, nella lettera che invitava i capi di stato di governo all’ultimo vertice, è stato esplicito in proposito. E così le conclusioni e i commenti di troppi altri leader dell’Ue e dei Paesi membri. Ma la deriva non è inesorabile. Dipende anche, e moltissimo, dal voto che daremo per il nuovo Parlamento europeo. L’Unione Europea ha avuto – e giustamente – un premio Nobel per la pace perché ha saputo costruire un laboratorio pacifico di integrazione tra popoli e Stati, ha capovolto logiche e pratiche di guerra addirittura secolari, dimostrando al mondo che si può fare. Un’impresa inedita, unica nella storia che oggi rischiamo di dimenticare e rinnegare”.
Teme che una deriva del genere possa esserci anche in Italia, per esempio con la proposta della Lega di reintrodurre la leva militare obbligatoria?
“La leva militare obbligatoria, nella proposta presentata da Salvini, non è altro che un ritorno al passato, non sapere guardare al presente di tutti e al futuro di figlie e figli. I giovani vogliono vivere una vita di pace con un lavoro dignitoso e con la possibilità di farlo in un pianeta abitabile e ben custodito, in società a misura d’uomo e di donna”.