Gli ultimi casi si sono verificati negli ultimi giorni a Palermo: un’associazione è stata cancellata dalla lista antiracket dal prefetto di Palermo Antonella De Miro e un’altra, invece, non è stata ammessa. In entrambi i casi il motivo è lo stesso: dietro la faccia pulita dell’antimafia – come ormai accade sempre più spesso – imprenditori in odor di mafia che, negli ultimi anni, avevano anche organizzato convegni, iniziative e persino ritirato premi per il loro impegno civico. E invece, grazie al lavoro certosino della prefettura sicula, si è scoperto che addirittura tra i soci fondatori di “LiberoJato” (l’associazione cancellata dalla lista antiracket) ci sono i figli di Giuseppe Amato, l’imprenditore edile di Partinico che diede la sua carta d’identità al capomafia Leoluca Bagarella, il cognato di Totò Riina. Così, per dire.
Ma, d’altronde, non è questo che l’ultimo episodio di una lunga serie. A maggio a finire nel mirino degli inquirenti era stata la presidente dell’Associazione antiracket “Salento”, Maria Antonietta Gualtieri: l’accusa era di truffa finalizzata a ottenere un finanziamento da due milioni di euro destinato alle vittime del racket e dell’usura, assegnato dall’Ufficio del Commissario straordinario antiracket istituito presso il ministero dell’Interno e indebitamente percepito dal 2012.
Zero trasparenza – E arriviamo al punto: ad oggi la gestione dei fondi destinati alle vittime di usura e di estorsione è decisamente oscuro. A sollevare il caso, quasi in maniera premonitrice visto quanto accaduto poi nella sua città natale, è stato Riccardo Nuti, membro di commissione Antimafia. Il deputato ha infatti presentato un’interrogazione parlamentare diretta al ministro dell’Interno Marco Minniti in cui si sollevano inquietanti particolari. La ricostruzione dell’ex 5 Stelle è impeccabile: a gestire i fondi è un Comitato composto non solo da rappresentanti del Governo, ma anche da tre membri proprio delle associazioni antiracket, in carica per due anni. E come si accede al Comitato? Proprio tramite la lista antiracket a cui tanti, pure mafiosi come abbiamo visto, aspirano.
La domanda nasce immediata: chi sono oggi, nomi e cognomi, i membri del Comitato? Ecco il punto: come denuncia Nuti, è impossibile saperlo. Con tutto quello che ne deriva, a cominciare da evidenti e potenziali conflitti d’interessi poiché parliamo delle stesse associazioni che potrebbero, poi, essere destinatari dei fondi. E non parliamo nemmeno di bruscolini: secondo la relazione del Viminale solo nei primi cinque mesi del 2016 sono stati assegnati oltre nove milioni di euro, undici l’anno precedente ancora. Si dirà: perlomeno si potranno consultare i verbali delle riunioni del Comitato, così da capire anche a chi sono destinati i fondi. Niente anche qui: i verbali sono inaccessibili e, dunque, anche i nomi dei beneficiari. Nulla di nulla. Trasparenza ridotta a zero, insomma.
Proprio in virtù di questo, venerdì Nuti ha annunciato di aver presentato anche emendamenti ad una legge in materia, ora in discussione in commissione Giustizia, per chiedere che “vengano pubblicati sul sito web i verbali delle riunioni” e, addirittura, per “togliere dal Comitato i rappresentanti delle associazioni”, così da evitare infiltrazioni e conflitti. Infine un ulteriore emendamento per obbligare le associazioni alla “presentazione, al momento della richiesta di iscrizione, dell’informazione antimafia liberatoria”. Già, nemmeno questo oggi è previsto.
Tw: @CarmineGazzanni