La legge c’è. Il rischio ora, però, è che manchino gli strumenti. Sarà difficile, infatti, per una commissione formata soltanto da cinque magistrati controllare un coacervo immane di thin-tank, fondazioni, enti e comitati al cui interno gravitano la bellezza di 53.904 politici ed ex politici.È in questi numeri l’essenza del mare magnum delle fondazioni, quei soggetti che molto spesso, specie dopo l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, sono diventati centrali nella ricezione di finanziamenti per “addolcire” le politiche di questo o quel partito. Per capire di cosa stiamo parlando bisogna partire dallo “Spazzacorrotti”, la legge anti-corruzione fortemente voluta dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede. Con questo provvedimento (poi in parte modificato dal Dl Crescita) il Parlamento ha di fatto equiparato fondazioni, associazioni e comitati politici ai partiti.
Un notevole e importante cambio di passo nello scenario italiano, soprattutto per i vari obblighi di trasparenza che ora ricadono su queste strutture. In questo modo – questo è il concetto – si vuole evitare che le fondazioni possano ricevere indebitamente denari, come capitato (secondo l’accusa) nel caso Parnasi con la fondazione “Eyu” di Francesco Bonifazi e con la “Più Voci” del tesoriere della Lega, Giulio Centemero. Peccato, però, che come scrive il solito e puntuale portale di trasparenza OpenPolis, “il problema è stato anestetizzato, non risolto”. Questo, perlomeno, è il rischio. A monitorare sul rispetto degli obblighi di trasparenza, infatti, c’è una Commissione composta da soli cinque magistrati.
ALLARME INASCOLTATO. E, come detto, la mole è eufemisticamente enorme. Come spiega ancora OpenPolis, infatti, per la legge rientrano nel novero degli enti da monitorare tutte quelle organizzazioni i cui organi direttivi sono composti per un terzo da persone che hanno avuto incarichi politici negli ultimi 6 anni nel Parlamento europeo e nazionale, nel Governo, nelle Regioni e nei Comuni con più di 15mila abitanti. Stiamo parlando di 53.904 persone, un numero talmente elevato che rende la fattibilità stessa dell’operazione un’illusione. Non a caso la stessa Commissione di garanzia, presieduta dal 14 novembre dal giudice della Corte dei conti, Amedeo Federici (che a sua volta ha preso il posto di Luciano Calamaro che aveva rinunciato all’incarico), ha lanciato più e più volte, in sede ufficiale e per via informale, allarmi sulla mancanza di mezzi e personale.
Un esempio su tutti: nella relazione consegnata al Parlamento a maggio scorso, la Commissione scriveva: “Ne consegue a carico della commissione – in immutata composizione nelle strutture di supporto – un incisivo impegno istruttorio e di indagine per identificare, nell’ampio e diffuso contesto dell’associazionismo nazionale, quelle realtà che ricadono nell’area percettiva della norma”.
UN PO’ DI NUMERI. Ma di quante “realtà” stiamo parlando? In quella stessa relazione di maggio, la Commissione sottolineava che il numero delle realtà associative da monitorare fosse difficile da quantificare, e che si poteva aggirare sulle 6mila unità. Al di là delle strutture, il vero lavoro va fatto però sulle persone che, negli ultimi sei anni, hanno avuto incarichi politici in Italia. Per la precisione, secondo quanto riportato anche da OpenPolis, si tratta di 20.483 persone attualmente in carica, a cui bisogna aggiungere le 33.421 che invece hanno ricoperto tali ruoli negli ultimi sei anni. In totale parliamo, dunque, di 53.904 persone. Di cui: 208 nel Parlamento europeo; 245 nel Governo; 663 nel Senato; 1.303 a Montecitorio; 2.530 nelle Regioni. E poi la fetta più enorme: 48.955 nei Comuni con più di 15.000 abitanti. Il punto, davanti a questi numeri, è giungere a un aut-aut: o si forniscono mezzi e personale ai magistrati per monitorare il mondo delle fondazioni o, a questo punto, converrebbe ridurre il perimetro ai think-tank e alle associazioni più grandi e che agiscono su larga scala. Il rischio altrimenti è che, come si suol dire, passata la festa, gabbato lo santo.