A distanza di una settimana dal voto, la rilevazione effettuata da Lab21.01 di Roberto Baldassari conferma il trend osservato negli ultimi 15-20 giorni della campagna elettorale. Vale a dire un aumento del M5S e contestualmente una riduzione del bacino di approvazione del Pd. La coalizione trainata dai dem perde l’1,8% che è la stessa percentuale che guadagna, invece, il Movimento di Giuseppe Conte.
A distanza di una settimana dal voto, la rilevazione effettuata da Lab21.01 conferma il trend osservato negli ultimi 15-20 giorni
“La curiosità che ci ha spinti è stata quella di verificare le intenzioni di voto dopo una settimana perché avevamo avuto l’impressione che se il M5S avesse avuto altri 15-20 giorni di tempo in più – spiega a La Notizia Baldassari, direttore generale di Lab21.01 e professore di Strategie delle ricerche di mercato e di opinione di Roma 3 – avrebbe potuto agganciare e sorpassare addirittura il Pd e questo è stato confermato dalla rilevazione fatta. Con la differenza che col Pd ci sono anche altre forze, di qui c’è solo il M5S. L’impressione avuta intorno al 7-8 settembre era quella di un forte avanzamento del Movimento – merito di una campagna elettorale sicuramente più centrata, più razionale, più concreta rispetto a una campagna dicotomica, basata sul grigio e sul rosso, sul bene e sul male, più effimera e più flebile, meno concreta e agganciata ai problemi del qui e ora fatta dal Pd”.
Alla domanda su quale futuro per il M5S e per il Pd immaginano gli elettori il risultato è stato netto. “Sei su dieci ci dicono che dovrebbero rimanere due entità separate. Vuoi, lato M5S, perché hanno ritrovato una leadership forte in Conte che sta rilanciando valori e direttrici di un Movimento che non è quello dei palazzi ma quello del territorio. Perché la campagna di Conte è stata fatta sul territorio ed è stata per questo vincente. Lato Pd, gli elettori sono alla ricerca di una nuova identità che non vedono agganciata al Movimento – almeno ora – perché devono capire prima chi sono”.
Ma sul Pd c’è anche un’altra considerazione da fare. “Le dichiarazioni di Enrico Letta subito dopo la sconfitta con la scelta di abdicare hanno destabilizzato una parte di elettorato per il fatto che sia stato rimesso tutto in discussione, a partire dal nome e dal simbolo. È stato come se la profezia negativa dell’ultimo tratto di campagna elettorale nei confronti del Pd poi si sia avverata con le dimissioni di Letta. Mentre, dall’altra parte, il M5S ha confermato il suo trend in crescita. E questo punto di incrocio, in cui il M5S affianca e supera il Pd, sembra vicino e inesorabile”.
Può dunque il M5S candidarsi a occupare il vuoto lasciato dal Pd a sinistra? “Sì ma se lo interpreta nella maniera dei 5 Stelle e non alla maniera del Pd. In realtà l’elettorato del M5S negli ultimi anni è stato fluido ma ha mantenuto uno zoccolo duro intorno al 12. A questo zoccolo duro si è aggiunta una parte dell’elettorato che in realtà non era proprio del Pd ma più che altro di centrosinistra e che non si sentiva rappresentata dai dem. Ora, che Letta ha ammainato la bandiera e le truppe hanno mollato le armi, una parte dell’elettorato Pd può essere agganciata dal Movimento più che dal polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda”.
Ma cosa potrebbe succedere se la leadership del Pd andasse a un esponente della sinistra radicale? “Che si lascerebbe scoperto il centro. Un bacino fluido che in questo caso potrebbe invece essere attratto più dal polo di Renzi e Calenda, sebbene questi si debbano ancora definire e strutturare. Paradossalmente nel centrosinistra il più stabile è il M5S con il suo ritorno a un impianto valoriale, etico e programmatico del Movimento delle origini”.
Ma il Pd potrebbe andare incontro anche a una scissione? “Mi pare una follia pensare che possano disperdere un patrimonio elettorale del 19%. Certo che se virasse troppo a sinistra potrebbe scendere al 15-14. Se invece trovasse una leadership forte, come potrebbe essere quella di Stefano Bonaccini, potrebbe risalire al 22-23. E potrebbe riprendere gli elettori di Renzi e Calenda oltre a motivare quanti tra gli elettori dem non sono andati a votare perché magari non si riconoscevano nel progetto di Letta. Miracolo quello di smuovere tanti disaffezionati alla politica che invece è riuscito a Conte al Sud”.