Non per rivangare i soliti luoghi comuni, ma è fuor di dubbio che cominciare un percorso artistico dalla Sicilia presenta più difficoltà e ostacoli rispetto ad altre parti del Paese, se non altro per la lontananza dai quartier generali delle radio e dalle tv nazionali. Sergio Friscia però è riuscito a fare di tutto: cinema, televisione, teatro e più di tutto la radio, quello che è il suo primo grande amore. Artista poliedrico, sempre sulla cresta dell’onda, non nasconde perciò la sua soddisfazione.
Partiamo dagli inizi, speaker e animatore turistico…
“Ho iniziato a Radio Young e poi sono passato a Radio Time. Erano i tempi in cui eri autore, regista, conduttore, sceglievi i dischi: una grande scuola in cui ti fai le ossa. Se, successivamente, fai TV è tutta in discesa; chi viene dalla radio ha una marcia in più. Una scuola che consiglio a tutti, un po’ come quella dell’animatore turistico in cui sei scenografo, coreografo, regista, ti occupi di tutto”.
Hai cominciato in Sicilia. Una bella palestra, no?
“Eravamo tutti alle prime armi, ci siamo costruiti dal nulla. Questa è stata la nostra forza: fai tanta gavetta e hai la capacità di affrontare qualsiasi difficoltà, per esempio se c’è un problema tecnico. Anche nei live ho visto grandi attori che, se la luce va via, interrompono e vanno dietro le quinte. Io una volta mi sono trovato in mezzo a una piazza, facevo Montalbano, a un certo punto se ne è andata la luce. Ho improvvisato un’operazione di polizia, ho fatto accendere i cellulari a tutti gli spettatori per illuminarmi, ho intrattenuto il pubblico che rideva per un quarto d’ora, fino a quando è tornata la luce. Se non avessi avuto l’esperienza della radio e dei villaggi turistici non l’avrei saputo fare”.
Ai tempi degli esordi immaginavi che partendo da una radio siciliana saresti arrivato così lontano?
“Assolutamente no, lo sognavo, e da piccolo stavo sempre col microfono in mano, volevo fare questo, facevo le imitazioni dei parenti, dei professori a scuola. In radio facevamo tutto per passione, senza una lira, quasi a rimetterci. Rimpiango un po’ quei tempi, oggi è tutto più scontato. Nasci sui social e ti prendono in radio o, addirittura, in tv, i film li fa chiunque; se uno ha tanti follower sembra che possa fare l’attore, lo speaker. Dovremmo tornare ai tempi in cui andava avanti solo chi se lo meritava, dopo la necessaria gavetta”.
Ma i giovani di oggi come e dove dovrebbero fare esperienza?
“Oggi è tutto facile. Se chiedi a un giovane cosa vuole fare, ti risponde l’influencer. Un mestiere però si deve imparare con sacrificio e con la gavetta. Per quanto mi riguarda, ho avuto difficoltà nel fare capire ai miei genitori che la mia passione sarebbe potuta diventare un mestiere. Loro lo vedevano come un hobby da accompagnare semmai a un lavoro “vero”. Io, invece, ho sempre desiderato e pensato che sarebbe diventato il mestiere col quale vivere, ho rischiato, ed è andata bene. La radio è bellissima, poi Anna Pettinelli è una compagna di viaggio eccezionale. Ci divertiamo tanto perché ancora siamo mossi dalla passione, con la consapevolezza di poter e voler dare sempre di più nonostante i limitati tempi radiofonici. Il carisma, il carattere, la personalità dello speaker ti aiutano a importi anche sui tempi stretti e a lasciare un segno anche con una battuta pronta che poi la gente si ricorda”.
Gli ascolti vi premiano, RDS è sempre in crescita.
“Sì, abbiamo degli ottimi ascolti e questo grazie anche al pubblico del Sud che è cresciuto molto. Per me, orgogliosamente siciliano, questo è fonte di gioia incredibile. RDS è diventata famiglia, si vede che è a conduzione familiare, devo fare i complimenti a Montefusco, un grande imprenditore. Nella nostra fascia siamo il programma più seguito secondo i dati d’ascolto. Siamo cresciuti insieme al pubblico che ci ha sempre sostenuti”.
C’è qualcosa di quell’età pioneristica della nostra radio che si può ancora recuperare?
“La differenza sta in chi fa la radio. Il programma è chi va in onda, chi ha qualcosa da dire e sa catturare l’attenzione in quel poco tempo a disposizione. Bisogna avere il coraggio di sperimentare, non seguire quello che va di moda, provare a cambiare le cose, trovare una mediazione tra un talk e i tempi attuali troppo ristretti. Sarebbe importante anche avere la possibilità di scegliere la selezione musicale. Ma oggi non è possibile, devi dare il massimo in quei due minuti”.
Con la serie “Incastrati” hai grandi soddisfazioni, cosa pensi di Netflix e delle varie piattaforme?
Le piattaforme hanno preso piede negli ultimi anni, bellissime, comodissime, ma non vorrei che levassero spazio al cinema che va protetto perché ha un fascino particolare. Con i miei film voglio girare per le sale, avere un dialogo con gli spettatori, “toccare” le loro reazioni. La serie “Incastrati 2” su Netflix ci sta dando grandi soddisfazioni. Con Ficarra e Picone siamo cresciuti insieme, lavorare con loro è come stare tra amici. Lo stesso con Roberto Lipari: mi legano a lui grande affetto e amicizia. Quando l’ho avuto accanto a “Striscia la notizia” sapevo che sarebbe stata una bella scommessa, Ricci ci ha creduto e gli ascolti hanno dato conferma, una bellissima esperienza”.