Da qui a tre anni dei 75mila cinghiali presenti all’interno del territorio del Lazio ne rimarrebbero poco più di 25mila. Questa è la decisione presa dalla giunta Zingaretti per contenere e frenare la peste suina.
Con il Priu – il Piano regionale triennale di interventi urgenti per la gestione, il controllo e l’eradicazione della peste suina africana – che è stato appena varato, si punta a raddoppiare gli abbattimenti eseguiti nella stagione 2021-22, andando così a ridurre drasticamente il numero degli esemplari, principalmente nelle aree di Roma, Viterbo e Rieti, ovvero quelle che registrerebbero una maggiore densità di ungulati.
Una decisione presa in barba alle indicazioni dell’Ispra, l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che ha sottolineato come la diffusione della peste suina non abbia alcun rapporto o legame con il numero degli animali, anche perché le popolazioni di cinghiale infette più vicine all’Italia vivono a diverse centinaia di chilometri di distanza.
Il problema dei cinghiali il Lazio apre la caccia
La comparsa a gennaio dell’infezione nel cinghiale al confine tra Piemonte e Liguria, da dove poi si è diffusa fino ad arrivare nella Capitale, sarebbe dovuta infatti all’inconsapevole introduzione del virus da parte dell’uomo. La scelta della Regione Lazio, però, non è una sorpresa. Di abbattimenti, infatti, se ne parla da tempo.
A maggio il sottosegretario alla salute, Andrea Costa, valutava l’abbattimento dei cinghiali per porre rimedio a un’epidemia che sta interessando per l’appunto non solo il Lazio, ma anche altre regioni italiane. Di recente, poi, per risolvere il problema con “pragmatismo e senso di responsabilità”, aveva anche accennato alla proposta di un decreto per la proroga o l’allungamento del periodo di caccia da tre a cinque mesi.
Anche qui è l’Ispra a smentire l’utilità di un provvedimento del genere. Secondo l’Istituto, infatti, sarebbe necessario, piuttosto, interrompere qualunque attività di caccia perché si rischierebbe, altrimenti, di sollecitare il movimento dei cinghiali potenzialmente infetti, oltre a diffondere involontariamente il virus attraverso calzature, indumenti e attrezzature.
Regione bocciata
La riduzione del numero dei cinghiali, secondo l’assessore alla sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato, “è un tema di salute pubblica, di sicurezza nella catena alimentare, di decoro urbano e di sicurezza nella mobilità”. Di certo c’è un’emergenza in corso che deve essere contenuta, ma le decisioni prese hanno fatto storcere il naso agli animalisti, alle associazioni e a chi, in Campidoglio, ha sollecitato più volte la Regione a intervenire sul tema.
Il consigliere capitolino M5S, Daniele Diaco, infatti, sostiene che il piano approvato sia “di una crudeltà inaudita”. E incalza: “Lo volevano fare da tempo, ma la peste suina ha dato loro il casus belli definitivo: gli abbattimenti di cinghiali saranno raddoppiati. Morti evitabili, se solo Zingaretti avesse attivato un piano serio e sostenibile di gestione della fauna selvatica, come per anni gli abbiamo chiesto di fare”.
L’alternativa tra l’altro, sempre a detta di Diaco, ci sarebbe, ovvero il bando del ministro alla salute, Roberto Speranza, per testare un vaccino contro la peste suina. Ad attaccare la Regione, intanto c’è anche l’Oipa. Secondo l’organizzazione internazionale protezione animali, infatti, il piano regionale sarebbe “un provvedimento esecrabile e miope, che preferisce la caccia, il sangue, a ogni soluzione etica. Si fa fuoco su esseri viventi senza neppure ascoltare la scienza”.
Ad oggi intanto i casi positivi sono 32, di cui 29 nella zona della Riserva dell’Insugherata, due al Labaro e uno in provincia di Rieti.