Oramai anche il Governo (passato e presente) non può far più finta di nulla: i voucher hanno creato una nuova forma di sfruttamento di cui soprattutto i giovani sono inevitabilmente vittime. I dati, pubblicati contemporaneamente sui siti istituzionali di Istat, ministero del Lavoro, Inps e Inail come stabilito da un accordo tra le parti il 22 dicembre 2015, sono inequivicabili: nei primi nove mesi dell’anno i voucher venduti sono stati 109,5 milioni, il 34,6% in più rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente.
Insomma, una valanga. Peccato che i giornali renziani preferiscano virare su altro (come Repubblica, uno su tutti, che titola: “a dicembre sale la fiducia delle famiglie”). Ma torniamo alla piaga voucher. Quelli riscossi per attività svolte nel 2015 (quasi 88 milioni) corrispondono a circa 47mila lavoratori annui full-time e rappresentano solo lo 0,23% del totale del costo lavoro in Italia.
Il numero mediano di voucher riscossi dal singolo lavoratore che ne ha usufruito è 29 nell’anno 2015: ciò significa che il 50% dei prestatori di lavoro accessorio ha riscosso voucher per (al massimo) 217,50 euro netti. Non proprio una cifra esaltante. Non proprio una somma che permette di lavorare.
Non è un caso che proprio oggi sia Maurizio Martina che Andrea Orlando sono intervenuti sulla questione. “È necessaria una stretta sui voucher – ha detto Martina in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera – affrontando il tema con un’analisi attenta settore per settore. Bisogna intervenire circoscrivendo meglio i requisiti soggettivi per l’utilizzo dei voucher, ma sono contrario alla loro abolizione. La finalità iniziale dei voucher era positiva: hanno fatto emergere una fetta di lavoro nero. Ma poi, con la progressiva liberalizzazione introdotta ben prima del governo Renzi, hanno rischiato di accentuare in alcuni settori la precarizzazione dei rapporti di lavoro. È su questa distorsione che bisogna intervenire”. Dello stesso avviso pure Andrea Orlando: “Il tema dei Voucher – ha detto a Rtl 102.5 – credo debba essere affrontato circoscrivendo l’utilizzo di questi strumenti che altrimenti rischiano di essere, anziché uno strumento per far emergere il nero, uno strumento di precarizzazione in contrasto con alcune misure contenute nel jobs act stesso”.