Una piazza gremita di camici bianchi ha riempito un grande teatro capitolino lo scorso fine settimana. Un esercito di donne e uomini appartenenti a tutte le categorie della sanità pubblica si è dato appuntamento per gridare la propria rabbia e rivendicare il diritto alla salute sancito dalla Carta Costituzionale.
Medici, veterinari, farmacisti, psicologi, biologi, chimici, infermieri, tecnici, amministrativi e operatori hanno sottoscritto una “piattaforma in difesa del Servizio Sanitario Nazionale”, un atto di accusa contro le politiche che negli ultimi 25 anni hanno depauperato il sistema pubblico a vantaggio dei privati.
Una piattaforma unitaria contro la svendita del patrimonio pubblico e le diseguaglianze
L’urlo è stato lanciato da Michele Vannini, segretario della Funzione Pubblica Cgil: “Un’iniziativa unica perché finalmente tutte le sigle sindacali si riuniscono, senza egoismi corporativi, per salvare la dimensione pubblica e universale del Ssn”. Andrea Filippi, responsabile medici Fp Cgil, ha rincarato la dose: “Solo rimanendo uniti e coinvolgendo i cittadini potremo rovesciare le scelte sbagliate che violano l’articolo 32”.
La piattaforma punta il dito contro due piaghe che rischiano di far deflagrare il sistema sanitario nazionale. La prima è il tentativo di svendere al privato il patrimonio di competenze e umanità che dovrebbe restare appannaggio dello Stato. L’altra è l’inaccettabile verità che in Italia 6 milioni di persone, pur avendo un lavoro, sono tagliate fuori dalle cure a causa della povertà e delle diseguaglianze territoriali acuite dal progetto di autonomia differenziata.
“Serve una riorganizzazione del Ssn universale e uniforme in tutto il Paese – tuona Vannini – L’autonomia differenziata è la miccia che rischia di far esplodere il sistema, una mina da disinnescare con tempestività”. Una riforma che poggi su quattro cardini: un sistema totalmente pubblico, integrato tra territorio e ospedali, multiprofessionale con team di diverse specialità, e soprattutto governato per porre fine alla frammentazione dei contratti atipici che genera inefficienze.
Il presupposto però è un adeguato finanziamento pubblico. Dicono i saggi che le nozze con i fichi secchi non si possono celebrare. Quella italiana è la sanità più povera d’Europa. La media dei paesi Ue, infatti, destina alla sanità pubblica il 7,5% del Pil, Francia e Germania molto di più, quasi il doppio dell’Italia che è al 6,5% ma che nel giro di due anni scenderà al 6,2%.
Ed allora la richiesta è netta: “finanziamento strutturale del Sns, a partire dal personale, contestando il principio strettamente economicistico e tendenzioso che il personale in sanità sia un costo invece che un investimento”. “Chiediamo al governo di ascoltare i lavoratori che chiedono solo servizi efficienti e stipendi dignitosi, non di risparmiare ancora sulla loro pelle”.
Un finanziamento adeguato è il pre-requisito per salvare la sanità pubblica
Gli obiettivi della piattaforma sono chiari: abolire davvero il tetto di spesa per il personale, stop ai gettonisti e alle cooperative, assunzioni stabili e dignitose, valorizzazione del lavoro con adeguati rinnovi contrattuali. “La sola strada – ammonisce Filippi – è chiedere ai cittadini di unirsi a noi per ricostruire una sanità di prossimità basata sulla solidarietà, non sui profitti dei privati che ci stanno privando del diritto alla salute”.
Un grido di dolore che si leva dalla maggiore azienda pubblica italiana, quel Servizio Sanitario Nazionale istituito 45 anni fa da una grande mobilitazione popolare e che ora rischia di essere smantellato dai profittatori della rottamazione dello Stato Sociale. Un appello pressante alla cittadinanza affinché si ricompatti attorno ai suoi angeli custodi per difendere il bene più prezioso: il diritto alle cure, un valore che non può avere un prezzo di mercato.