Chi non si è mai trovato a dover fare una visita medico-specialistica con il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e finire nel girone dei dannati delle eterne liste di attesa? Le opzioni sono due: affidarsi alla buona sorte lasciando che il tempo tra la prenotazione e la visita effettiva scorra senza che l’eventuale patologia avanzi con danni irreversibili, o mettere mano al portafogli e affidarsi ai privati sborsando profumate somme di cui – tenendo conto del problema dei salari e dell’inflazione alla stelle – difficilmente si dispone.
I tagli di spesa alla sanità di qui al 2025 parlano chiaro. Così la salute rischia di trasformarsi in un lusso
Che poi la salute di ogni singolo cittadino sia un diritto sancito costituzionalmente poco importa o che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ci dica che l’uguaglianza del diritto alla salute come priorità per il mondo, la diseguaglianza la fa da padrone e affonda le sue radici sulla diversificazione del potere d’acquisto individuale. Insomma, se hai i soldi ti curi e la salute viene declassata a bene di consumo qualsiasi. Per curarsi servono anche i professionisti e la loro carenza è tristemente nota a tutti: questi infatti “scappano” in Paesi in cui il loro lavoro è adeguamento riconosciuto e tutelato, smettendo di prendere stipendi da fame nonostante il centrale ruolo che svolgono per la vita dei cittadini.
La pandemia del resto è stata una grande lezione (non imparata, evidentemente) sulla centralità del “prendersi cura di chi ci cura”. E, come se non bastasse, il dramma nella gestione delle emergenze sanitarie quando ci si ritrova nei pronto soccorso tra codici di diversi colori rispondenti alla gravità potenziale del male perché non esistono sufficienti strutture intermedie che “smistino” i pazienti affinché questi, quando affetti da problemi non gravi, non vadano ad affollare inutilmente gli ospedali nel loro interesse e nella tutela della macchina pubblica.
In questo quadro non roseo la Missione 6 del Pnrr destinata alla salute e la previsione di spesa per il prossimo anno contenuta nel Def avrebbero dovuto costituire balsamo per le nostre anime in pena, invece niente. Nel documento di economia e finanza si programma la riduzione massiccia della spesa sanitaria che calerà ben del 2.4% rispetto al 2023 e rispetto al Pil la spesa sanitaria sarà solo del 6.2% il che preannuncia un 2025 in cui tale capitolo di spesa avrà il valore più basso degli ultimi decenni ben lontani dalle virtuose Francia e Germania e aggravando la nostra già critica posizione nelle classifiche dei paesi europei. C’è una distanza incolmabile tra gli annunci del governo che dichiara di mettere al centro della propria azione la salute e i freddi numeri (risorse) che però costituisco la precondizione per azioni concrete ed efficaci.
Per il prossimo triennio si stima un aumento del Pil del 3.6% che però vede un misero incremento per la spesa sanitaria dello 0.6% che corrisponde a un non troppo implicito smantellamento del sistema sanitario nazionale. Così come il Pnrr non accorre in nostro aiuto se non è supportato da un serio piano di assunzioni, la carenza dei medici di medicina generale così come dei professionisti nell’ambito dell’assistenza ospedaliera rende irrealizzabile quanto contenuto nel capitolo 6 del piano e ci costringe a perdere un’occasione storica per migliorare la vita dei cittadini su questo dolente punto.
Il superamento del blocco per la spesa del personale e il rinnovo dei contratti (le retribuzioni sono tra le più basse d’Europa) renderebbe più attrattiva l’Italia per professioni di questo tipo. Quindi quelli di Schillaci suonano sempre come degli annuncio vuoti e irrealizzabili – tra questi “la realizzazione di una sanità di prossimità ben strutturata” – se non si investono risorse sufficienti nei giusti comparti. Rincresce dire che in un paese come il nostro la tutela della salute stia smettendo di essere un diritto ma per trasformarsi in un bene elitario che in pochi possono permettersi. Certo, avremo il Ponte sullo Stretto di Messina.