Il nuovo governo non è neanche partito e già si scannano per le poltrone. Sembra incredibile ma a poche ore dal trionfo elettorale di Giorgia Meloni, il Centrodestra è una polveriera che rischia di esplodere da un momento all’altro.
Neanche è iniziato il governo e già per la Meloni insorgono i primi grattacapi. Con Salvini e Berlusconi pronti a lanciare veri e propri ultimatum
Può sembrare un controsenso alla luce del risultato complessivo della coalizione ma è la realtà che emerge guardando al dato dei singoli partiti con l’affermazione di Forza Italia che con l’8 per cento si candida al ruolo di arbitro del Centrodestra – soprattutto al Senato dove i suoi voti saranno decisivi – e, soprattutto, con il tracollo della Lega che per forza di cose dovrà trovare il modo di recuperare consensi. Insomma neanche è iniziato il governo e già per la Meloni insorgono i primi grattacapi visto che sia Silvio Berlusconi che Matteo Salvini in queste ore stanno preparando le proprie strategie che potrebbero portare a richieste perentorie se non a veri e propri ultimatum.
Peccato che la leader di FdI non ne voglia sapere in quanto va ripetendo che “i risultati del voto sono chiari” e che per questo i suoi alleati dovrebbero evitare di creare tensioni che potrebbero compromettere l’esperienza di Governo o addirittura non farla nemmeno iniziare. Intendiamoci si tratta di un’eventualità a dir poco improbabile anche se la Meloni, lanciando un primo messaggio ai due alleati, lo ha detto chiaro e tondo affermando che “non accetterò compromessi e non mi presterò a giochini”, insomma o si rema tutti dalla stessa parte oppure di fare teatrini la leader non ne vuole proprio sapere.
Può sembrare una questione di poco conto ma Giorgia è decisa più che mai e lo sta dimostrando con i fatti tanto che ieri ha affrontato personalmente il nodo Salvini. Già perché il focoso alleato – ma anche un po’ rivale – sta vivendo una situazione delicatissima e non è nuovo a mosse imprevedibili create ad arte per sparigliare le carte e recuperare consensi.
Insomma una mina da disinnescare al più presto e nel modo più indolore possibile. Malgrado in campagna elettorale il Capitano abbia più volte detto di puntare al Viminale, un ministero di peso anche a livello internazionale per via della gestione della questione dei migranti, per lui la porta è sbarrata a doppia mandata proprio dalla Meloni che reputa troppo rischio lasciare al Capitano un ruolo tanto popolare e mediatico che, tanto per intenderci, sfruttava in favore di telecamera per lanciare bordate al premier del suo stesso Governo e che all’epoca era Giuseppe Conte. Per non parlare del problema che si verrebbe a creare con Bruxelles per via del braccio di ferro continuo ed estenuante visto anni fa e che assolutamente nessuno vuole veder ricominciare.
Dare il benservito a Salvini, anche se con garbo, non sarà facile
Il problema è che dare il benservito a Salvini, anche se con garbo, non sarà facile soprattutto se manterrà la poltrona di segretario della Lega. E lo si è capito proprio dalle parole che il Capitano ha pronunciato commentando il voto e che sono sembrate tutt’altro che arrendevoli, come si sarebbe potuto immaginare alla luce del disastro elettorale del Carroccio, visto che ha perfino dettato la linea di quello che, a suo dire, dovrebbe essere il primo Consiglio dei ministri.
Secondo il leghista quest’ultimo dovrà occuparsi di autonomia e di scostamento di bilancio per varare un decreto capace di arginare il caro bollette. Si tratta di misure che, però, la Meloni ha già escluso e per questo la leader è convinta che siano provocazioni al suo indirizzo. Ma queste non sono le uniche provocazioni visto che il Capitano parlando della squadra di Governo ha detto non vuole sentir parlare di tecnici mentre la leader di FdI ha in mente di chiamarne alcuni nei ruoli chiave.
Così nel tentativo di evitare strappi e tensioni, da via della Scrofa sarebbe stato offerto al segretario del Carroccio la guida del dicastero dell’Agricoltura o di quello dello Sviluppo economico, due destinazioni che però non incontrerebbero il suo gradimento. L’unica certezza è che una qualche forma di accordo tra i due leader andrà per forza trovata – e ci riusciranno – perché andare allo scontro non conviene a nessuno.
Berlusoconi e Tajani stanno lanciando messaggi in codice per ribadire il ruolo decisivo di Forza Italia
Può sembrare incredibile ma a tormentare la Meloni non c’è solo il segretario della Lega. In queste ore anche Silvio Berlusconi e Antonio Tajani stanno lanciando messaggi in codice per ribadire il ruolo decisivo di Forza Italia e, c’è da scommetterci, pretendere caselle di primo piano nel prossimo Governo. Del resto soltanto così si possono spiegare queste continue dichiarazioni degli azzurri che sottolineano come al Senato i loro voti saranno imprescindibili e che quindi, questo il messaggio tra le righe, per averli la Meloni dovrà concedere qualcosa.
Ma se non fosse già abbastanza chiaro, proprio il leader di Forza Italia ha voluto mettere i puntini sulle i con una minaccia quando, al Corriere della Sera, ha detto che “abbiamo una golden share sul populismo ma sono sicuro che non la dovremo mai usare. Però mi permetta di dire che se pensassi davvero che esistesse il rischio di derive populiste, il governo non partirebbe neppure, anzi non saremmo nemmeno alleati con gli altri due partiti della nostra coalizione ”.
Che si tratti di un avviso ai due leader alleati è abbastanza evidente. Del resto affermazioni simili le ha fatte anche Tajani, il coordinatore di Fi, secondo cui “Siamo determinanti per far nascere il nuovo governo e questa mi pare una buona cosa” e, parlando del ruolo di Berlusconi, ha detto chiaro e tondo che “vuole fare il padre del Centrodestra, farà un po’ da garante, da protagonista e da regista, anche a livello internazionale”.
Un messaggio che è stato preso molto sul serio in via della Scrofa tanto che, per ingraziarsi il Cavaliere, si starebbe pensando di proporgli il ruolo di prossimo presidente del Senato. Si tratta di un incarico a cui Berlusconi ambisce da tempo perché in un certo senso gli permetterebbe di voltare pagina dopo il lungo esilio iniziato nel 2013, quando è stato espulso da Palazzo Madama perché dichiarato decaduto a seguito della condanna a quattro anni per frode fiscale, e conclusasi nel 2018 quando il Cavaliere è stato riabilitato dal Tribunale.