Si è fatta vanto in campagna elettorale di essere l’unico partito che ha fatto opposizione al governo Draghi, un esecutivo di tecnici incapace di affrontare le vere emergenze del Paese, ma poi ha nominato titolare al Mef Giancarlo Giorgetti, considerato il più draghiano tra tutti i ministri del governo precedente, e ha mantenuto come consigliere Roberto Cingolani, ex ministro della Transizione ecologica. Non solo.
La Meloni ha vinto le elezioni grazie all’opposizione dichiarata al Governo dei Migliori, però il suo programma è identico all’agenda Draghi
La premier Giorgia Meloni si è presentata in Parlamento per chiedere il voto di fiducia al suo esecutivo con temi in perfetta continuità con quelli promossi da Draghi, dalla politica estera a quella economica. Emblematico in questo senso l’apprezzamento arrivato dal leader di Confindustria, Carlo Bonomi, che tanto ammirava Draghi definito uno degli uomini della necessità.
Abbiamo apprezzato molto innanzitutto – dice Bonomi di Meloni – l’aver riaffermato la collocazione internazionale italiana, quindi in Europa e atlantista, e abbiamo particolarmente apprezzato il fatto di aver messo al centro anche il tema del lavoro a 360 gradi”.
L’Italia – dice la premier – è a pieno titolo parte dell’Occidente e del suo sistema di alleanze, Stato fondatore dell’Unione europea, dell’eurozona e dell’alleanza atlantica. Quest’ultima – spiega – garantisce alle nostre democrazie un quadro di pace e sicurezza. L’Italia – e pare di sentire Draghi – continuerà a essere partner affidabile in seno all’Alleanza atlantica, a partire dal sostegno al popolo ucraino che si oppone all’invasione russa. Vale a dire armi e ancora armi a Kiev.
Come Draghi il nuovo esecutivo chiede che l’Europa offra una risposta comune al problema del caro-energia
Come Draghi chiede che l’Europa offra una risposta comune al problema del caro- energia, in assenza di questa come unico spazio rimane quello delle misure dei singoli governi nazionali che rischiano di “minare il mercato interno e la competitività delle nostre imprese”. Come il suo predecessore cerca di mantenersi a metà strada tra equilibrio dei conti e il no a operazioni che, a suo dire, possano mettere a repentaglio le casse.
“La strada per ridurre il debito – dice – non è la cieca austerità imposta negli anni passati e non sono neppure gli avventurismi finanziari più o meno creativi. La strada maestra l’unica possibile è la crescita economica, duratura e strutturale”. E cruciale rimane in questo senso la riforma del Patto di stabilità e crescita che Draghi ormai definiva “inevitabile”.
E ancora: nessuna indicazione su come intende agire contro il caro-bollette, nulla sugli extra-profitti o sullo scostamento di bilancio visto come fumo negli occhi da Mr.Bce. Dal suo predecessore eredita le ricette neoliberiste sulla politica economica con un occhio di riguardo alle imprese. “Il motto di questo governo sarà: non disturbare chi vuole fare”.
Sulla giustizia ci pensa il Guardasigilli a pronunciare la parolina magica: continuità. La direzione assunta dall’ex ministro della Giustizia, Marta Cartabia, con le sue riforme, dice Carlo Nordio, “era secondo me quella giusta”.
A squarciare il velo dell’ipocrisia meloniana ci pensa il leader del M5S, Giuseppe Conte. “Il suo indirizzo economico potremmo sintetizzarlo come neoliberismo di ispirazione tecnocratica. è un’impostazione che le consente di strizzare l’occhio alle istituzioni finanziarie anche internazionali e forse spiega l’opposizione morbida, a tratti compiacente con il governo uscente. Viene il dubbio: ma non è che alla fine l’agenda Draghi vuole scriverla lei?”, le chiede Conte.
E ancora: “L’unica certezza del suo discorso, presidente Meloni, ci ha restituito la continuità con il governo Draghi. La guida del ministero dell’Economia è stata data a chi per primo ha teorizzato il metodo Draghi e che auspicò una torsione costituzionale con Draghi al Quirinale incaricato di guidare il convoglio governativo da lì”.
L’unico punto su cui Meloni pare non tradire i suoi elettori è nell’astio che conferma verso i poveri. “Vogliamo mantenere e, laddove possibile, aumentare il doveroso sostegno economico per i soggetti effettivamente fragili non in condizioni di lavorare”, ma “per gli altri”, “la soluzione non può essere il reddito di cittadinanza” che “per come è stato pensato ha rappresentato una sconfitta”, dice la premier.
Ma la domanda a cui non risponde la Meloni è come possano campare le persone abili a lavorare ma che non riescono a trovare un’occupazione. Togliere a queste il sussidio è gettarle nella disperazione. Ma evidentemente “i Migliori al governo” questa domanda non intendono porsela.