Uno decide in autonomia, l’altro si arrabbia. Tema dello scontro è, ancora una volta, il Superbonus. Sulla cui cancellazione graduale il vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani, continua con Forza Italia a esprimere perplessità, mentre il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, va avanti di taglio in taglio. Non ascoltando nessuno.
Stavolta sul Superbonus volano gli stracci. Tanto per dare un’idea della confusione che regna sovrana, Tajani accusa Giorgetti di aver deciso in autonomia su un emendamento che in teoria sarebbe del governo, ma che di fatto sembra essere solo del Mef, considerando che il vicepresidente del Consiglio lamenta di non essere mai stato consultato.
Lo spalma-crediti e lo scontro
Andiamo con ordine e partiamo dal tema del contendere. Il governo nella notte ha bollinato l’emendamento in sei pagine contenente la norma che prevede per le spese legate al Superbonus sostenute nell’anno 2024 la ripartizione della detrazione “in dieci quote annuali di pari importo”. Sono previste anche norme specifiche per le banche, a partire dal 2025. Per queste non sarà più possibile compensare i crediti del Superbonus con debiti previdenziali. La norma, che vale anche per gli studi finanziari, non tocca invece le persone fisiche.
Per quanto riguarda la rateizzazione dei crediti delle banche e delle società appartenenti ai gruppi bancari o assicurativi è prevista, a partire dall’anno 2025, la ripartizione in 6 rate annuali di pari importo: le rate dei crediti risultanti dalla nuova ripartizione non possono essere cedute ad altri soggetti, oppure ulteriormente ripartite.
Le nuove norme non si applicano ai soggetti che abbiano acquistato le rate dei predetti crediti a un corrispettivo pari o superiore al 75% dell’importo delle corrispondenti detrazioni. In pratica, la norma non penalizza gli istituti finanziari che hanno acquistato i crediti senza un eccessivo sconto.
Fulcro dello scontro Tajani-Giorgetti è l’obbligo di spalmare le detrazioni fiscali per gli interventi edilizi su dieci anni invece che su quattro. Una proposta che non piace a tutte le associazioni e alle imprese. Ma che non piace neanche all’interno della stessa maggioranza di governo.
Il problema riguarda soprattutto la retroattività della norma, che varrebbe anche per i crediti relativi ai primi mesi del 2024, quindi prima dell’annuncio di queste modifiche. Tajani afferma di avere “qualche perplessità sulla retroattività”, lo stesso punto contestato da Confindustria. E poi dieci anni, a suo giudizio, potrebbero essere troppi: “Vogliamo ascoltare le imprese e le banche per capire se ci sono dei danni o se bisogna intervenire in Parlamento per fare delle proposte”, afferma.
Arriva subito la replica, piccata, di Giorgetti, incalzato sul tema dai cronisti: “Io ho una responsabilità e difendo gli interessi dell’Italia come ministro delle Finanze, chiaro?”. Il ministro viene di nuovo sollecitato sulla questione in serata e replica risentito: “Aspettate i testi, non le fantasie”. Insomma, bisognerebbe aspettare l’emendamento, a suo giudizio.
Eppure proprio l’emendamento fa infuriare Tajani, perché non è stato “concordato col governo: anche io faccio l’interesse degli italiani”. Per il leader di Forza Italia si tratta solo di una “proposta di Giorgetti, non è una proposta del governo, perché io non sono mai stato consultato”. Insomma, Tajani vuole “vedere il testo” su cui la decisione sembra tutt’altro che collegiale.
L’emendamento sul Superbonus che non piace a nessuno
L’emendamento di Giorgetti serve a compiere una sorta di trucchetto contabile, con un vantaggio sui conti pubblici nell’immediato ma un fardello da portare sulle spalle per più anni. Per le imprese il problema è che lo spalma-crediti vale per tutte le fatture del 2024, anche per quelli di lavori avviati prima e che ora verranno recuperati in dieci anni e non quattro. L’Ance stima che, stando ai dati forniti da Giorgetti, “saranno interessati almeno 16 miliardi di lavori attualmente in corso”. Per Federcontribuenti Giorgetti “lascia sull’orlo del baratro migliaia di aziende italiane”, condannando “al fallimento dalle ottomila alle diecimila imprese che hanno effettuato investimenti ingenti per completare i lavori”. Tutti contro, quindi, tranne Giorgetti che tira dritto.