Passano i giorni, si avvicina la data del referendum e aumentano i parlamentari contrari alla sforbiciata. C’è da chiedersi se sia il caso di sorprendersi, del resto sono gli stessi che rischiano di perdere la poltrona, se non fosse che tra chi si è recentemente unito al fronte del No non mancano deputati e senatori che in passato hanno votato a favore del taglio. In questo scenario paradossale chi mantiene la barra dritta e non arretra di un millimetro è M5S che da sempre ha fatto dell’ottimizzazione dei costi della politica una delle proprie ragioni di esistenza.
Una scelta di campo compiuta non sulla volontà di punire la vecchia politica, come si sente dire talvolta nei talk show al fine di banalizzare le reali motivazioni, quanto sulla ferma intenzione di portare avanti un’istanza che, da decenni, viene presentata dai cittadini ma che è sempre rimasta disattesa dai precedenti parlamenti. Così mentre Fratelli d’Italia, Lega e Pd non hanno ancora le idee chiare o – probabilmente – non sanno come giustificare i propri orientamenti ai dissidenti interni e al proprio elettorato, il ministro degli Esteri e della Cooperazione internazionale, Luigi Di Maio, annuncia che il prossimo 29 agosto inizierà un tour di due giorni in Campania per “raccontare l’importanza di votare Sì al referendum sul taglio dei parlamentari” e per sostenere i candidati del Movimento cinque stelle.
BOTTA E RISPOSTA. Ma se i grillini ci mettono la faccia in quella che da sempre è stata descritta come una “battaglia di civiltà”, il fronte del No rimane sostanzialmente indefinito. Bisogna capirli i partiti tradizionali che in queste ore sono preoccupati dal rischio di perdere preziose poltrone senza delle quali sarà dura sistemare tutti. Così per non scoprirsi, tanto più che le comunali e regionali si avvicinano, nessun leader dichiara apertamente e senza distinguo la linea da tenere nel referendum. Un vuoto, quello nel fronte del No, che viene colmato da altri interventi come quello delle Sardine, secondo cui il taglio metterebbe addirittura a rischio la nostra democrazia, e i 187 costituzionalisti firmatari di un documento in cui esprimono tutte le loro preoccupazioni per l’eventuale sforbiciata.
“La materia costituzionale non può essere svilita fino a diventare argomento di mera propaganda elettorale. La Costituzione è il portato della civiltà di un popolo e ogni sua revisione deve essere supportata dal massimo consenso possibile”. A parer loro “il taglio lineare prodotto dalla revisione incide sulla rappresentatività delle Camere e crea problemi al funzionamento dell’apparato statale”. Dubbi che non convincono il ministro per i Rapporti col Parlamento, Federico D’Incà, secondo cui “la riforma per la riduzione del numero dei parlamentari viene criticata da alcuni perché il numero ridotto dei parlamentari non consentirebbe alle Camere, ed in particolare al Senato, di lavorare adeguatamente.
Si tratta però di una critica infondata” perché “la capacità di una Camera di svolgere la funzione legislativa non dipende dal numero dei suoi componenti” infatti “le Camere nel mondo, pur svolgendo dappertutto le medesime funzioni, sono composte da un numero molto variabile di membri”. A riprova di ciò D’Incà ricorda anche che “il nostro Senato ha già funzionato per una decina di anni con un numero di componenti simili a quelli che uscirebbero da un Sì alla riforma. Nella seconda e terza legislatura, infatti, il Senato era composto di 230 membri circa, e nessuno ha mai lamentato difficoltà di funzionamento”.