Una grana certamente non facile da risolvere: uscire dall’angolo in cui si è finiti senza passare per quelli che “sono cambiati” o che “hanno tradito i principi originari”. Certamente i tempi lunghi della Giunta per le autorizzazioni di Palazzo Madama ha dato una grossa mano a Luigi Di Maio che, non a caso, per ora ha preferito non pronunciarsi. Ma l’intenzione del vertice pentastellato è piuttosto evidente. A farla intendere già due giorni fa direttamente il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che si è assunto la responsabilità dell’azione di non far sbarcare i migranti della Diciotti. Come a dire: è un’azione di Governo, dunque la responsabilità è collegiale.
Esattamente quanto detto, il giorno prima, da Danilo Toninelli e da Giulia Grillo. Ed esattamente quanto ribadito nelle memorie che Toninelli, Conte e lo stesso Di Maio hanno consegnato ieri alla Giunta. E questa potrebbe essere la soluzione al problema pentastellato: far comprendere all’elettorato che in questo caso non si è in presenza di un’indagine “classica”. Non si è in presenza di intercettazioni che inchiodano questo o quel politico alle proprie responsabilità. Siamo, invece, dinanzi a un atto politico, deciso da tutto il Governo, su cui ora interviene la magistratura.
La soluzione all’impasse, dunque, è giocare d’anticipo, evitare che la grana arrivi in Aula e fermare la questione in Giunta, con il voto contrario dei pentastellati o, magari, con la loro astensione. E giustificare il tutto precisando che la questione è, se vogliamo, tecnica: “La legge costituzionale 1/1989 che attua l’articolo 96 della Costituzione – spiega una fonte parlamentare M5S – dice chiaramente che il Senato deve valutare se l’inquisito abbia agito a tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante o di un preminente interesse pubblico. Se Salvini ha agito, d’accordo con il Governo, per il perseguimento di un obiettivo politico di interesse pubblico, si pone una questione normativa rilevante”. Ed è su questo aspetto che si vuol premere.
In campo, ovviamente, ci sono anche altre ragioni che acuiscono il peso di una spiegazione tecnica per giustificare il no all’autorizzazione a procedere. Innanzitutto la tenuta del Governo: si rischia – come si vocifera in ambienti di centrodestra – di spingere Salvini, dopo le europee, a rompere il patto di Governo. E questo lo metterebbe anche nella situazione di non perdere voti perché la rottura in quel caso sarebbe più che legittima. Anzi: è probabile che la cosa agevoli un’ulteriore migrazione di voti dal Movimento alla stessa Lega. In secondo luogo, ancora, se si andasse a processo sarebbe un regalo vero e proprio per Salvini che potrebbe finalmente vestire i panni del martire e giocarsi la carta-martirio per le europee, per poi, come detto, lanciarsi la volata a nuove elezioni politiche.
E se alla fine il Governo dovesse restare in piedi? Un voto contrario all’autorizzazione indebolirebbe l’esecutivo anche su un piano propriamente politico: dopo gli sgambetti di Bankitalia, Corte dei conti e via dicendo, dopo i niet dell’Europa, dopo le tante mediazioni sulla Manovra, un arresto anche sulle politiche migratorie delegittimerebbe il Governo, probabilmente in forma irrimediabile. Questi sono i punti fondanti per cui il Movimento da interventista ha vestito i panni dell’attendismo.
Come d’altronde testimoniato chiaramente da Mario Giarrusso, senatore membro della Giunta per le autorizzazioni, ma anche dal capogruppo M5S al Senato, Stefano Patuanelli, il quale ha ribadito che la decisione pentastellata sarà collegiale. Il ragionamento, per ora, è che i 5 stelle si trovano in una situazione loose-loose, in cui qualsiasi cosa scelgano è “a perdita”. Tanto vale non mettersi contro Salvini, tenere duro e poi lavorare per risalire, nell’eventualità, la china.