Uno scoop sul “metodo Ranucci” fondato su un “video inedito” che, però, risale a otto anni fa e che era già noto alle autorità (leggi l’articolo). Sembra proprio che questa volta Il Riformista abbia preso una cantonata, versando fiumi d’inchiostro in quello che appare un intrigante – quanto fantasioso – romanzo a puntate in cui vengono messe in risalto le presunte condotte sui generis del conduttore di Report, Sigfrido Ranucci.
Il Tribunale di Padova ha già scritto che nei confronti di Ranucci “non è ravvisabile alcun illecito penale”
Peccato che si tratti di un clamoroso abbaglio giornalistico – per giunta già segnalato dallo stesso giornalista Rai – visto che il filmato incriminato nuovo non è. Si tratta, infatti, di un vecchissimo file già finito agli atti dell’inchiesta del 2014 e che, come si legge nell’atto del Tribunale di Padova, è sfociato in un’archiviazione nei confronti di Ranucci in quanto “nei fatti non è ravvisabile alcun illecito penale”. Non solo.
Come messo nero su bianco dal magistrato che stava conducendo l’inchiesta, non risulta provata “l’ipotesi di tentata diffamazione ai danni di Flavio Tosi e di Marco Giorlo. Come risulta dalla nota riassuntiva delle indagini della Digos di Padova, il giornalista nell’esercizio della sua attività ebbe a raccogliere elementi per un servizio televisivo e ne cercava altri avendo contattato persone vicine a Tosi e alla Lega Nord che in ipotesi ne potevano avere”.
“Così come risulta poi in effetti nella puntata di Report del 7/4/2014 alcune di quelle sembra sono state pubblicate nell’ambito del corretto esercizio del diritto di cronaca ricoprendo, fra l’altro, il Tosi e il Giorlo posizioni pubbliche rilevanti nell’Amministrazione comunale di Verona”. Per questo, conclude l’atto, “il fatto di tentata diffamazione non sussiste né tanto meno altra fattispecie (di reato, ndr)”.
Così a pensar male sembra che si stia cercando di fare un trappolone a Ranucci, presentando questo video come inedito così da far scattare un’inchiesta su fatti già noti e, cosa ancor più grave, su cui c’è stato già un giudizio da parte della magistratura.
Non c’è dubbio che nell’indagine sia finito proprio lo stesso video pubblicato da il Riformista, tra l’altro con qualche errore di sottotitolazione, descritto come inedito dallo stesso direttore Piero Sansonetti (in un’intervista ad Open è categorico: “Per quanto mi risulta non è mai finito all’attenzione dei magistrati”). Nell’atto con cui viene chiesta l’archiviazione di Ranucci è presente un allegato con l’intera trascrizione – letterale, parola per parola – del filmato girato in un ristorante di Roma.
Un video che, evidentemente, non solo è finito all’attenzione del pm ma che è stato anche inserito nella valutazione del fatto, che si è conclusa con la richiesta di archiviazione, poi effettivamente avvenuta. Ma non è tutto. Colpisce che lo stesso video che si tenta ora di accreditare come inedito, fosse già noto anche all’opinione pubblica visto che era stato ospitato perfino sul sito della fondazione di Tosi.
Ma gli strafalcioni del Riformista non finiscono qui. In relazione al filmato, infatti, viene raccontato che a offrirlo a Ranucci sarebbero stati due giornalisti freelance. Altro falso, smentito ancora una volta dalle carte del Gip dalle quali si scopre che i due presunti cronisti presenti all’incontro del 18 febbraio al ristorante in Piazza Taviani a Roma sono in realtà il musicista Sergio Borsato – conoscente di Tosi – e il suo amico Massimo Giacobbo.
Alla luce di tutto ciò – e guardando in particolare al video – il giudizio degli inquirenti è piuttosto chiaro. Nell’atto, infatti, viene spiegato per filo e per segno il perché non c’è stato alcun illecito da parte del conduttore di Report: “In particolare nel corso degli incontri sostenuti appare evidente che il Ranucci nell’ambito della propria attività lavorativa, stia cercando materiale documentale ulteriore per verificare e confermare quanto riferitogli da persone terze. Appare, infatti, che quanto raccontato da Ranucci non sia altro che il riportare il contenuto delle interviste fatte dal giornalista nell’ambito dell’inchiesta da lui svolta”.
Pertanto, insiste il pm, “deve ritenersi che, seppur le dichiarazioni di Ranucci possano ritenersi offensive della reputazione del Sindaco Tosi, queste appaiono inquadrarsi nell’ambito del diritto di cronaca giornalistica e, quindi, debba ritenersi esistente la scriminante dell’esercizio di un diritto”. A ben vedere, conclude l’atto, “può ritenersi che quanto affermato da Ranucci nel corso degli incontri summenzionati e registrati a sua insaputa non sia che il preannuncio agli interlocutori degli esiti dell’inchiesta giornalistica poi trasmessa”.
Insomma carte alla mano, appare difficile capire in cosa consista “lo scoop” del Riformista. Quel che traspare dagli atti, semmai, è che “il metodo Ranucci” esiste davvero ma non si tratta di quello raccontato dal quotidiano di Sansonetti. Quanto, semmai, dell’esempio “da manuale” del più nobile giornalismo d’inchiesta il cui lavoro, infatti, è spesso sfociato in indagini giudiziarie e processi.