L’intervista di Vespa è giornalismo
di Marco Castoro
L’Italia non può essere un Paese garantista a intermittenza. A secondo i casi. Se l’intervista al figlio di Riina la pubblica il Corriere tutto fila liscio. Nessuno ci mette bocca. Se invece la fa la Rai apriti cielo. Ci sono certe interviste – e quella del figlio di Riina rientra in questa categoria – che ogni giornalista sogna di fare. Bruno Vespa ci è riuscito. E non si capisce perché questo scoop debba essere censurato. E qui torniamo al Paese che si dichiara garantista ma che in realtà è forcaiolo. In questi giorni ne abbiamo avuto la dimostrazione con i casi della guerra tra vegetariani-vegani e carnivori, con tantissime minacce (anche di morte) a Giuseppe Cruciani, il conduttore della Zanzara, che sarà pure un irrispettoso provocatore, ma che non merita di morire di cancro, come gli augurano coloro che vogliono salvare un agnello.
E che dire di Raffaele Sollecito?
Il fatto che sia stato scelto da Paolo Liguori come opinionista di TgCom24 sui casi di giustizia ha scatenato un putiferio. Fino a prova contraria dopo anni e anni di processi (con tanto di carcere), Sollecito è stato assolto in Cassazione.
Quindi è stato giudicato innocente alla fine dell’iter dei tre gradi di giudizio.
Ciò significa che – in un Paese che si definisce garantista – Sollecito può fare qualsiasi lavoro gli venga offerto. Sta solo a lui dimostrare di essere bravo a farlo.
Tuttavia, quando c’è di mezzo la tv tutto diventa un caso. I politici e l’opinione pubblica salgono sul pulpito e giudicano con premeditazione e pregiudizio. Quelle persone che non perdonano nulla a Vespa sono le stesse che hanno visto senza battere ciglio l’intervista confessione al fidanzato dell’acido. Intervista scoop di Franca Leosini, che è riuscita a far parlare l’accusato più di quanto siano riusciti a fare i magistrati.
Il giornalismo non può essere diverso tra il pubblico e il privato. Semmai si può dividere tra il giornalismo buono e quello cattivo. E quello di Vespa è un buon giornalismo. Perché oltre alla presenza dell’ospite discusso, riempie sempre il parterre con il contraddittorio. Anche l’argomento più scomodo viene affrontato da ogni prospettiva. E questo rappresenta l’abc del servizio pubblico e del corretto giornalismo. Quindi chi mette in dubbio il lavoro di professionisti che da anni sono garanti di una corretta informazione dovrebbe battere la ritirata. Le censure appartengono ai regimi, non ai Paesi garantisti.
Niente affatto manca solo la mafia in tv
di Francesco Bonazzi
Spettacolo surreale questo Stato che accoglie nella propria tv il figlio mafioso di un boss mafioso, Totò Riina, impegnato a vendere il suo libro mafioso. Mafioso in quanto pieno di omissioni sull’omicidio di Paolo Borsellino, di Salvo Lima e di Giovanni Falcone. E allo stesso tempo cortocircuito finale. Dopo la Trattativa, la Televendita.
Diciamolo subito, in una nazione normale, intesa come comunità che produce uno Stato minimo e rispettabile, con il giusto monopolio della violenza a tutela della libertà dei propri cittadini, un’organizzazione come Cosa Nostra non dovrebbe esistere. Non solo per la parte più o meno visibile dei suoi traffici, ma soprattutto per la propria sfrenata ambizione di disintermediare la domanda di Stato e sostituirsi ad esso amministrando giustizia, controllando il territorio, garantendo la sicurezza e, addirittura, perseguendo una moderata redistribuzione della ricchezza. Per portare a casa tutti questi risultati, alle mafie, è assolutamente necessario un costante rapporto con la politica, specie a livello locale. E alla fine sono proprio questa interlocuzione, e questa capacità di pensare in modo politico, che differenziano un’organizzazione criminale mafiosa da una qualsiasi banda armata. Entrare in contatto con i politici, e possibilmente selezionarli, alla mafia serve per occupare pezzi di Stato e asservirli ai propri interessi, che possono andare da un singolo appalto a una norma carceraria.
La mafia vuol dunque farsi Stato, ma che succede se lo Stato si mette a disposizione della mafia? Perchè questo, e non altro, è la comparsata di Salvatore Riina su Raiuno per raccontarci che papà Totò, un sant’uomo con soli 18 ergastoli, era un padre tanto “dolce”. Il problema non è se sia giornalismo o meno. Lo è sicuro, per carità. Il problema è che il luogo che si presta alla simpatica promozione libraria di Riina junior è appunto la televisione dello Stato. Quello stesso Stato servito, talvolta con scarsa riconoscenza, da magistrati e investigatori massacrati da papà Riina. Però è sempre utile che gli scandali arrivino, perchè in una nazione normale non dovrebbe esistere neppure la “televisione di Stato”. Un’entità che solo a definirla così vengono in mente regimi politici diversamente democratici. Ci devono rieducare? Ci devono intrattenere? Ci devono rimbambire? Ci devono informare? Sì, con il figlio di Riina.