Il giorno in cui Giorgia Meloni è salita a Palazzo Chigi una ridda di voci festeggiava la sua vittoria celebrando la nomina a presidente del Consiglio come “vittoria per tutte le donne” e “per il femminismo”. Dopo 644 giorni di governo si può dire che in Italia non sia andata propriamente così – basti pensare che si sta rimettendo in discussione il diritto all’aborto – e ora nemmeno in Europa.
Le sue azioni e le politiche sostenute dal suo partito e dai suoi alleati mostrano una realtà ben diversa, caratterizzata da incoerenze che minano le sue stesse affermazioni. Meloni ha sfruttato il tema del femminismo come strumento politico, talvolta manipolando la narrazione per avvantaggiare la sua immagine e quella del suo partito. La leader di Fratelli d’Italia ha mostrato un femminismo di facciata, utilizzando la retorica dell’uguaglianza solo quando conveniente ma senza attuare misure concrete per migliorare la condizione delle donne. Ad esempio, le politiche restrittive sui diritti riproduttivi e il sostegno a valori tradizionali rigidamente conservatori dimostrano una contraddizione rispetto ai principi femministi autentici.
Il femminismo di facciata: promesse e realtà delle politiche di Meloni
A livello europeo, la situazione è ancora più preoccupante. Il nuovo Parlamento Europeo è dominato dagli uomini, con solo il 38,5% dei deputati europei confermati che sono donne, un calo rispetto al 40% della precedente legislatura. Questo rappresenta un’inversione di tendenza, visto che la proporzione di donne era sempre aumentata dal 1979. Questo declino è particolarmente evidente nel gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), guidato dalla stessa Meloni, dove la rappresentanza femminile è scesa dal 30% a meno del 22%.
L’ascesa dei partiti di destra, inclusi quelli rappresentati da Meloni, ha avuto un impatto significativo sull’equilibrio di genere nel Parlamento Europeo. La destra europea, che spesso si oppone a misure come le quote di genere, ha contribuito a creare un ambiente meno inclusivo per le donne. Il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei, con solo 17 donne su 78 membri, è emblematico di questa tendenza. Meloni è la presidente del gruppo.
I gruppi liberali e di sinistra nel Parlamento Europeo vantano una presenza femminile ben superiore alla media, con i Verdi che raggiungono il 51% e i Socialisti e Democratici il 43%. Al contrario, i gruppi di centro-destra e di destra estrema mostrano una significativa carenza di rappresentanza femminile, con l’EPP al 37% e il nuovo gruppo dei Patrioti europei al 32%.
Questo squilibrio di genere non è solo una questione di rappresentanza simbolica ma ha ripercussioni concrete sulla qualità della legislazione europea. Le commissioni parlamentari, dove si prendono decisioni cruciali, sono spesso dominate da uomini, con solo il 37,5% delle posizioni di leadership occupate da donne. Questo porta a una visione parziale e a volte limitata delle questioni di genere, influenzando inevitabilmente la formulazione delle politiche.
Un impatto europeo: il tradimento anche a Strasburgo
Le proposte per migliorare l’equilibrio di genere, come quelle per riflettere meglio la composizione del Parlamento nelle commissioni, sono state finora poco efficaci. Regole e suggerimenti esistenti spesso non vengono rispettati, alimentando il ciclo di segregazione e disuguaglianza. La necessità di una riforma sarebbe urgente ma l’attuale clima politico e la retorica di leader come Meloni rendono difficile intravedere un cambiamento significativo.
Il modello di “femminismo di facciata” non solo tradisce le donne italiane ma è stato esportato anche a Strasburgo contribuendo a un ambiente politico europeo meno inclusivo e meno equo. Con buona pace di coloro che festeggiavano.