Ha il sapore della beffa, se non della semplice provocazione, l’ultima mossa del premier ungherese Viktor Orbán. Dopo aver ottenuto i pieni poteri dal proprio parlamento e finito al centro delle polemiche di tutto il continente, il leader di Budapest ne ha fatta un’altra: ha sottoscritto una lettera di condanna contro le privazioni delle libertà firmata da 13 Stati membri. Sembra incredibile ma il politico di estrema destra, amico di Matteo Salvini e Giorgia Meloni che quotidianamente lo difendono sui social, con questo gesto ha rifilato un ceffone ai vertici di Bruxelles che hanno le mani legate tanto che fino ad ora non gli hanno inflitto sanzioni.
Nel testo, in cui non viene mai fatta menzione all’Ungheria, si chiede che le misure di emergenza devono “essere limitate a quanto strettamente necessario, proporzionate e temporanee, soggette a regolare controllo e rispettare i principi sopra menzionati e gli obblighi di diritto internazionale. Non dovrebbero limitare la libertà di espressione o la libertà di stampa”. Insomma l’esatto opposto di quanto fatto da Orbàn che ha assunto i pieni poteri a tempo indeterminato. Com’è facile intuire, forse per non esacerbare il clima, a firmare la lettera non è stato il premier ma il ministro della Giustizia che, a scanso di equivoci, milita nel partito del premier. Una sfida che mette ancor più a nudo tutti i limiti dei vertici di Bruxelles nel trattare qualsivoglia tipo di crisi.