Un attacco non solo alla libertà di stampa, ma anche ai diritti costituzionali. Lo sciopero indetto dall’Usigrai, sindacato dei giornalisti Rai, può essere riassunto in queste parole. Non una protesta politica, come accusano i vertici aziendali, ma una mobilitazione che nasce per motivi riguardanti sia la situazione dei lavoratori del servizio pubblico che le pressioni provenienti dal governo.
L’appello lanciato dall’Usigrai e dal suo segretario, Daniele Macheda, è semplicemente uno: “Fuori i partiti dalla Rai”. Bisogna fare una legge, magari seguendo quanto stabilisce il regolamento europeo del Media Freedom Act, secondo il quale “i servizi pubblici non devono avere il controllo dei governi”. Regolamento che sottolinea anche un’altra cosa “molto importante che spesso passa in secondo piano: le risorse devono essere certe e di lunga durata, perché oggi si sta consumando anche quest’altra realtà che si perde di vista”.
In particolare viene sottolineato come il canone sia sceso da 90 a 70 euro con un’operazione che porta un pezzo del finanziamento dentro la fiscalità generale: “Che cosa significa questo? Che una parte del finanziamento della Rai finisce nel controllo del governo, che può aprire e chiudere il cordone della borsa a suo piacimento, a seconda che gradisca o meno quello che succede in Rai in quel momento. Anche questa è una deriva pericolosa e va contrastata”.
I motivi dello sciopero Usigrai
Macheda sottolinea come le ragioni dello sciopero siano di “natura industriale: non abbiamo trovato ad esempio una riga sull’informazione nel piano industriale, salvo poi scoprire che volevano accorpare le testate senza confronto con il sindacato. C’è però anche un aspetto relativo all’indipendenza e autonomia dei giornalisti”. E il segretario dell’Usigrai cita alcuni casi concreti, come RaiNews che ha fatto sparire “la notizia di Gratteri che auspicava che i test attitudinali si facessero anche ai politici”. E, ancora, “la vicenda Scurati finita su tutti i giornali d’Europa, tentando scioccamente di derubricarla a un problema economico”. Ma anche gli attacchi a Report “che non è mai difeso dalla Rai”.
Parla di “un atto di coraggio” Vittorio Di Trapani, presidente della Fnsi, quando sottolinea come in questo momento esista “un attacco ai diritti costituzionali, è un messaggio dato a tutte le libertà e a chiunque voglia dissentire”. A dimostrarlo, per esempio, è il fatto che si chieda “a una minoranza di mettersi a disposizione per cercare di mandare in onda i tg e la minoranza si mette a disposizione”, afferma con riferimento alla richiesta dell’Unirai ai suoi iscritti. Per Di Trapani è in corso un “attacco al diritto allo sciopero”.
I giornalisti Rai sotto attacco
A parlare, in conferenza stampa, sono due dei volti noti della Rai che sono finiti nel mirino delle destre: Sigfrido Ranucci e Serena Bortone. Il conduttore di Report sottolinea come la situazione in Rai, dall’approvazione della legge Renzi, sia “peggiorata”. Ed è “peggiorata soprattutto nell’ultimo anno: non ricordo un premier che abbia definito un linciaggio un’inchiesta del proprio servizio pubblico, come quella sull’accordo per l’immigrazione con l’Albania. Il paradosso è che mentre la premier la definiva un linciaggio, due sondaggi in Albania ritenevano che l’inchiesta fosse veritiera”. E non mancano i casi di “pressioni politiche attraverso le denunce e le querele”.
Bortone, invece, torna sulla censura del monologo di Antonio Scurati sul 25 aprile: “Non era mai successo che un contratto venisse annullato dall’alto”. La conduttrice racconta ancora: “Quello che è avvenuto quel venerdì pomeriggio nella redazione di ‘Che sarà’ io in 35 anni di lavoro non l’avevo visto mai”. E sul caso, ancora, non è arrivata neanche la tanto attesa ricostruzione dei vertici Rai.