di Valeria Di Corrado
Può finire l’amore, ma non il diritto ad abitare nella casa del convivente. La scelta di vivere sotto lo stesso tetto (anche se non è quello coniugale) comporta diritti e doveri che non svaniscono nel nulla quando compagno e compagna litigano e decidono di lasciarsi. La Corte di Cassazione, con una sentenza emessa il 21 marzo scorso, ha rivoluzionato il mondo delle coppie di fatto. Anche dopo la rottura del rapporto affettivo, il proprietario dall’appartamento in cui i due hanno scelto di convivere non può cacciare dall’oggi al domani il partner. Quest’ultimo infatti, pur non essendo comproprietario dell’immobile, ha il diritto di continuare a coabitarci.
Il caso
La sentenza degli Ermellini, che ora diventa un precedente giurisprudenziale al quale i giudici di merito dovranno inevitabilmente attenersi, si riferisce al caso di due partner che avevano convissuto per diversi anni in un appartamento a Roma (zona piazza Bologna). Lui, il 24 marzo 1998, decide di cedere alla compagna l’immobile, continuando a vivere con la dolce metà sotto lo stesso tetto. Tempo nemmeno tre mesi e… la coppia scoppia. Lei lo mette alla porta senza farsi troppi scrupoli. Quando lui tenta di entrare nella sua ex casa lei si rivolge ai carabinieri facendolo passare per un ladro che si era introdotto furtivamente nell’abitazione. Difficile per i militari darle torto dopo che la donna esibisce in suo favore una copia del contratto di acquisto dell’immobile. Costretto a riconsegnare le chiavi, l’uomo non si è arreso ed è ricorso al Tribunale di Roma per ottenere la tutela possessoria.
I giudici gli hanno dato ragione, ordinando alla donna di permettere all’ex-partner di proseguire la coabitazione in quello che era stato, fino a poco tempo prima, il loro nido d’amore. La Corte d’Appello ha confermato il provvedimento e i magistrati del Palazzaccio non sono stati da meno.
L’orientamento giuridico
La Suprema Corte ha ribadito la rilevanza costituzionale della famiglia di fatto, confermando la tendenza della giurisprudenza a riconoscerne un rilievo giuridico, oltre che sociale. Negli ultimi anni, infatti, si sta ampliando la tutela in favore di questo tipo di rapporto di convivenza, che viene considerato un consorzio familiare simile a quello che si realizza con il matrimonio.
Le coppie di fatto, secondo i giudici di piazza Cavour, rientrano a pieno titolo nelle “formazioni sociali nelle quali, in base all’articolo 2 della Costituzione, si svolge la personalità individuale”. Il convivente infatti gode della casa familiare, di proprietà del compagno o della compagna, per soddisfare un interesse proprio oltre che di coppia.
Perciò, secondo i giudici della Cassazione, la convivenza “more uxorio” (come se si fosse coniugi) determina sulla casa di abitazione, nella quale si svolgeva il programma di vita in comune, un potere di fatto del convivente, “ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità”. In parole povere il partner non può essere trattato come un ospite indesiderato da “mettere alla porta su due piedi”. Di conseguenza, di fronte all’estromissione violenta o clandestina compiuta dall’ex proprietario della casa, il compagno può chiedere al giudice la tutela possessoria ed essere riammesso a coabitare nella casa dove si era svolta la vita in comune. Gli Ermellini nella sentenza hanno specificato che questa tutela può essere invocata “laddove esista una comunità di tipo familiare, che tale connotato abbia assunto per durata, stabilità, esclusività e contribuzione alla vita comune”.
Quando, insomma, per un certo periodo di tempo si è vissuti sotto lo stesso tetto, partecipando in pari misura alle spese comuni.