Doveva essere la rivoluzione e il volano per la ripartenza del Paese, come annunciato qualche mese fa dal ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini che giurava sulla bontà del provvedimento malgrado le furiose polemiche degli esperti, ma il suo Codice degli appalti dopo pochi mesi dall’entrata in vigore ha già bisogno di pesanti modifiche. Insomma il Capitano si è reso conto del flop e ora corre ai ripari tanto che ieri ha dichiarato che “al Ministero siamo già d’accordo che entro la fine dell’anno, con le categorie, con gli ordini professionali, coi sindacati, le imprese, l’Ance e l’Anci, valuteremo eventuali modifiche da apportare a un testo che comunque si propone di essere innovativo”.
Lo stesso, cercando di giustificare quella che appare come una retromarcia, ha poi provato a difendere il provvedimento spiegando di stare “già lavorando per mettere mano al testo unico dell’edilizia e delle costrizioni, con l’obiettivo di semplificare la vita agli amministratori pubblici e a chi lavora, in base al fatto che abbiamo bisogno di opere pubbliche. Parlo da ministro ho trovato più di 100 opere commissariate, in molti casi ferme. In questi 11 mesi di governo penso si sia notato un cambio di passo”.
Codice degli appalti, il flop nei dati
Che qualcosa nelle gare pubbliche si sia smosso lo dicono i dati, peccato che questi non sembrino particolarmente lusinghieri per il Capitano. Soltanto il primo agosto scorso, ossia a poco più di un mese dall’introduzione del codice appalti di Salvini, a fare il punto sulla situazione era stato il presidente dell’Anticorruzione, Giuseppe Busia, spiegava che l’unico effetto tangibile era stata una forte frenata del numero e del valore dei contratti pubblici. Secondo l’Anac, infatti, nel primo mese di applicazione del provvedimento la somma degli importi delle forniture ammontava a un quarto di quella del mese precedente, per i servizi il calo era stato di circa un quinto e per i lavori addirittura un settimo.
Proprio in quell’occasione Busia spiegava che “pur considerando che si tratta solo del primo mese e che il fenomeno dovrà essere osservato su un periodo più lungo, non si può negare che, a trenta giorni dalla prima applicazione del Codice appalti, si registri una frenata”. Lo stesso poi aggiungeva che seppur questa dinamica “è fisiologica”, in quanto “l’entrata in vigore di nuove regole comporta un rallentamento per la necessità di adattarsi alle novità dei testi”, non di meno “dobbiamo stare molto attenti e lavorare a fianco delle stazioni appaltanti per aiutarle e supportarle, come Anac sta facendo con molto impegno.
Purtroppo pesa, in particolare, il fatto che non si sia investito sufficientemente per rafforzare le stazioni appaltanti, qualificandole adeguatamente, anche attraverso l’assunzione di nuovi funzionari capaci di applicare in modo corretto le nuove regole”. Evidentemente questa situazione non deve essere migliorata granché al punto da convincere Salvini che qualche miglioria al codice appalti deve essere apportata e anche molto velocemente.
Esperti sconcertati
Del resto quando il provvedimento era ancora in fase di studio gli esperti avevano criticato aspramente il progetto portato avanti dal governo di Giorgia Meloni. Ancora una volta le critiche maggiori erano arrivate dall’Anac che, a fine marzo scorso, aveva messo in guardia tutti sul fatto che “semplificazione e rapidità sono valori importanti, ma non possono andare a discapito di principi altrettanto importanti come trasparenza, controllabilità e libera concorrenza”.
Un giudizio lapidario ripetuto anche a inizio giugno quando sempre Busia afferma: “Sorprende che per velocizzare le procedure si ricorra a scorciatoie certamente meno efficienti, e foriere di rischi”, soprattutto in un periodo storico in cui “le piattaforme digitali e l’uso di procedure automatizzate consentono rilevantissime semplificazioni e notevoli risparmi di tempo, accrescendo anche trasparenza e concorrenza”. Criticità del nuovo codice appalti che erano state sottolineate anche dal procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, che nei mesi scorsi aveva bocciato il provvedimento soprattutto per l’eliminazione del limite al subappalto per la quale “sarà veramente difficile controllare il flusso dei soldi del Pnrr”.
Magistrato che poi puntualizzava ulteriormente il suo pensiero affermando che “per decenni abbiamo detto che è proprio nel subappalto che si annida la possibilità e si facilitano le mafie ad entrare negli appalti dove non possono partecipare”. Ancor più duro Roberto Scarpinato, ex magistrato e oggi senatore del Movimento 5 Stelle, che al Fatto Quotidianoaveva letteralmente demolito il provvedimento spiegando che, a suo dire, consisteva fondamentalmente in “una sorta di legalizzazione di Tangentopoli”. In particolare segnalava che “questo codice ha abolito tutte le regole che servivano a evitare abusi e ha fatto saltare tutti i controlli amministrativi e anche i controlli penali e quelli contabili”.
Pesanti le critiche anche dai sindacati con il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, che non le mandava a dire e preannunciando battaglia spiegava: “Forse quelli del governo non hanno mai lavorato, ma andare in un cantiere e far passare la logica del subappalto e del sotto appalto vuol dire che si fa una logica al massimo ribasso, vuol dire che si mettono in discussione i contratti, i diritti delle persone, vuol dire che non sei in grado di garantire la sicurezza e questo non vuol dire accelerare i cantieri, questo vuol dire mettere a repentaglio la vita delle persone che lavorano e vuol dire fare una concorrenza sleale tra le imprese”.