Matteo Orfini, deputato al terzo mandato per il Partito Democratico, di cui è stato anche presidente. Oggi siede nella commissione Cultura della Camera ed è di questi giorni un suo duro intervento in Aula – nel corso di una interrogazione parlamentare – per chiedere risposte concrete al governo sulla difficile situazione in cui versa il cinema italiano.
Onorevole Orfini, il cinema indipendente italiano appare oggi più che mai cannibalizzato dalle grandi piattaforme. Cosa sta accadendo al settore?
“C’è una crisi drammatica, ma il paradosso è che le cause non sono nella fragilità o nella debolezza della filiera. Che anzi stava andando bene. Ma nelle azioni del governo che per mesi ha paralizzato il settore, annunciando di voler riformare il quadro normativo riguardante il sostegno pubblico. Ma senza farlo. E così i produttori si sono trovati privi delle regole di riferimento e senza parte delle risorse e non hanno potuto far altro che bloccare le produzioni. Uno stallo che dura da mesi. Poi, solo qualche settimana fa, le nuove regole sono arrivate e sono semplicemente disastrose”.
Non crede che lo strumento del tax credit avesse bisogno di correttivi, così da evitare sperpero di denaro pubblico? Negli anni si sono finanziati alcuni prodotti cinematografici che non erano oggettivamente meritevoli per presenza di pubblico, qualità, orari di programmazione.
“Che andassero fatte delle correzioni alla norma lo abbiamo detto tutti: maggioranza, opposizione, produttori e lavoratori. Ma la demonizzazione che è stata fatta del tax credit è inaccettabile. Parliamo di uno strumento di politica industriale innovativo, che ha avuto effetti positivi non solo sul settore del cinema e dell’audiovisivo. Tutti gli studi dimostrano che per un euro messo, allo Stato ne tornano 3. Quindi parliamo non di una spesa, ma di un investimento anche piuttosto produttivo. E attenzione anche al racconto che viene fatto. Sono stati dati numeri a caso, molte delle produzioni accusate di non essere mai approdate in sala non erano in realtà concepite per quella distribuzione. Parliamo ad esempio di cortometraggi, di documentari. E quando si parla di cultura non tutto è misurabile solo col successo di mercato, il sostegno pubblico esiste proprio per questo: sostenere chi innova, chi sperimenta e che magari proprio per questo non può essere consegnato solo a quelle dinamiche. Aggiungo che le nuove regole sono un vero e proprio attentato alla produzione indipendente. Il tax credit diventa uno strumento solo per i forti, gli altri spariranno. Con un enorme danno imprenditoriale e occupazionale. E con un forte restringimento del pluralismo produttivi”.
Il ministro Giuli ha parlato di un “rischio superbonus’ per il tax credit, eppure il cinema costituisce un comparto produttivo che dà lavoro anche a molte persone. Non rischiamo così di lasciarle a casa?
“Quello che mi ha colpito nelle parole di Giuli è proprio la totale inconsapevolezza della gravità della situazione. Quei lavoratori non rischiano di rimanere a casa, sono già a casa. E da mesi. Molti hanno dovuto cambiare lavoro pur di andare avanti e questo è un dramma per loro ma anche per il paese: parliamo di professionisti molto preparati e stimati, un’eccellenza mondiale. Se l’Italia attrae produzioni estere è anche grazie al prestigio di questi lavoratori. Che stiamo poco a poco perdendo”.
Il cinema italiano è una di quelle tessere fondamentali che costituisce la nostra identità nazionale. Com’è possibile che un governo che ha un dicastero dedicato al “Made in Italy” possa trascurarlo? Esistono dei pregiudizi da parte delle destre nei confronti di questo settore?
“La destra ha scatenato una assurda guerra ideologica contro il mondo del cinema, contro i ‘registi comunisti’ e una presunta egemonia della sinistra nel settore. La verità è che il mondo della cultura è libero. Forse è proprio questo che spaventa una destra ossessionata dal controllo dell’opinione pubblica”.
Una battaglia come questa potrebbe essere combattuta insieme alle altre forze d’opposizione. Qual è lo stato di salute del “campo largo”? Ammesso che esista…
“Esistono delle forze di opposizione che stanno faticosamente provando a costruire un processo unitario. Come è naturale che sia, ci sono momenti di accelerazione di questo processo e anche rallentamenti come accaduto in questi giorni. Bisogna avere il coraggio di sfidarsi sul futuro e non di rimanere incastrati e condizionati dalle divisioni del passato. Ma certo in questi giorni mi capita spesso di pensare che a volte ci vuole davvero anche tanta pazienza”.
Con la sua Italia Viva non ha superato la soglia di sbarramento alle passate europee e non correrà per le regionali in Liguria. Renzi è una risorsa o un limite di un progetto unitario delle opposizioni? Tener dentro lui può voler dire compromettere l’alleanza con il M5S…
“Renzi fino a pochi mesi fa si collocava orgogliosamente fuori da questo progetto. Poi ha aperto una riflessione. Anche qui, penso non si debba avere fretta o esagerare nelle accelerazioni. Abbiamo mesi di lavoro di opposizione davanti, vedremo se e cosa maturerà. Guai a pensare a processi a freddo, costruiti a tavolino. Tutto va costruito e verificato nel fuoco della battaglia politica di opposizione. E vale per tutti, non solo per Renzi”.
Veniamo alla Manovra 2025. Il Ministro Giorgetti dice che l’approccio resta “prudente e responsabile”. Non dovrebbe piacere anche al Pd questa impostazione?
“Noi vorremmo una coraggiosa inversione di marcia rispetto alle manovre degli scorsi anni fatte da Giorgetti. Vorremmo tornassero al centro delle priorità la sanità pubblica, il lavoro, le politiche industriali, il sapere. Sappiamo bene che le risorse sono poche, ma il punto è su cosa mettiamo quello che c’è. Questa è una destra che si autodefinisce sociale ma che fin qui ha letteralmente abbandonato i più deboli. E che le risorse le mette su progetti assurdi come il ponte sullo stretto o i campi in Albania”.