Passano i giorni ma non le polemiche. Tra Matteo Salvini e Virginia Raggi il clima è teso, ancor più dopo la deflagrazione dell’inchiesta che ha coinvolto Armando Siri, il braccio destro del vicepremier leghista su cui pende un’accusa per corruzione da parte della Procura di Roma (vedi articolo a sinistra). Ma la cosa più grave è che ora a pagare dazio rischiano di essere i cittadini della Capitale dato che il vicepremier leghista, non più tardi di ventiquattro ore fa, ha ribadito la propria contrarietà alla norma Salva-Roma.
“Stiamo lavorando a un decreto Crescita e non credo ci debbano essere comuni di serie A e di serie B”, ha spiegato il leader del Carroccio che così rischia di far naufragare l’operazione sul debito storico, annunciata dal Campidoglio e dal viceministro Laura Castelli lo scorso 4 aprile. Si tratta dell’intenzione di chiudere nel 2021 la struttura commissariale, quella che la prima cittadina aveva definito “una sorta di bad company”, dipendente da Palazzo Chigi e che gestisce tutti i debiti accumulati nella città eterna fino al 2008. Un buco gigantesco che, al momento, ammonta a oltre 12 miliardi accumulati negli anni dalle precedenti giunte.
Ma stoppare il Salva-Roma sembra una ripicca che se andasse in porto, sarebbe difficile da far digerire ai cittadini di Roma. Gli stessi che, secondo Salvini, dovrebbero consegnargli le chiavi della città nelle prossime elezioni. Lo sa bene anche l’alleata del vicepremier, Giorgia Meloni, che ha spiegato: “Sbaglia la Lega a confondere la Raggi con Roma. Chi ama Roma sa che la Capitale non è un comune come gli altri”.