C’è chi vuole un sistema monocamerale; chi pensa a una legge elettorale ad hoc e magari non troppo sconveniente vista la riduzione del numero dei parlamentari; chi infine è a tratti spaventato dal fatto che poco a poco venga erosa la nostra Costituzione in sostituzione di altro. Un fatto è certo: dopo il plebiscitario risultato del referendum sul taglio degli eletti in Parlamento è un fioccare di disegni di legge che toccano o direttamente la nostra Costituzione o la legge elettorale. Una proposta in questo senso è quella presentata da Fratelli d’Italia – a prima firma Giorgia Meloni – il 25 settembre. Dunque solo quattro giorni dopo il referendum. Oggetto: modifiche alla legge elettorale.
DI TUTTO DI PIU’. Nell’illustrazione alla proposta di legge la Meloni illustra, con parole non proprio amichevoli, la ratio delle modifiche richieste: “Nonostante le disposizioni e le numerosissime assicurazioni fornite […] ci troviamo oggi a discutere in sede di Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati una proposta di modifica alla legge elettorale che, lungi dal limitarsi ad apportare alcuni correttivi, stravolge completamente il sistema elettorale introdotto appena tre anni fa”, attacca la Meloni. Che aggiunge: “Negli ultimi anni si assiste con sempre maggiore frequenza all’adozione, da parte della maggioranza di Governo di turno, di nuovi sistemi elettorali, volti solo ed esclusivamente a fornire a tale maggioranza la possibilità di rimanere tale anche in seguito alla successiva tornata elettorale”.
Un andazzo “deplorevole” che secondo Fratelli d’Italia ricorre anche oggi. Ed ecco dunque la proposta che prevede tra le altre cose “un premio di maggioranza per la lista o per la coalizione di liste che ottenga almeno il 40 per cento dei voti”. Un premio di maggioranza succulento che oggi farebbe molto comodo a un’ipotetica coalizione di centrodestra o anche solo con Matteo Salvini. Che ci sia dell’interesse? Sicuramente no. Certo è che la Meloni ha presentato questa proposta per evitare il rischio di “maggioranze posticce, per le quali gli elettori non hanno espresso la propria preventiva fiducia e che rischiano di violare la loro volontà”. Esattamente quanto fatto proprio da Salvini nel 2018. I casi della vita.
Non è questa, però, l’unica proposta post-referendum. A presentare un disegno di legge è stato anche Luigi Zanda che già ci ha abituato ad altri curiosi ddl (come quello, poi ritirato, per alzare lo stipendio dei parlamentari). Oggi invece Zanda, preoccupato per un ipotetico stravolgimento della nostra Costituzione a furia di riforme e referendum, chiede di elevare “a due terzi dei componenti delle Camere il quorum attualmente previsto per l’approvazione (oggi è il 50% più uno, ndr), in seconda votazione, di leggi di modifica o di revisione della Costituzione, nonché stabilendo che non si possa dar luogo a referendum se la legge di revisione costituzionale sia stata approvata nella seconda votazione da ciascuna Camera a maggioranza dei quattro quinti dei suoi componenti (oggi due terzi, ndr)”.
Che dietro ci sia la paura di altre incursioni anti-casta M5S? Chissà. L’ultima chicca, però, riguarda Andrea Colletti, l’unico 5S a votare “no” al taglio dei parlamentari. Ebbene, oggi Colletti propone un ddl per “l’adozione del sistema parlamentare monocamerale”. Curioso, dato che aveva criticato il taglio dei parlamentari anche per la mancanza di rappresentatività. Che invece a quanto pare sarebbe garantita dal sistema a una sola Camera. Punti di vista.