di Stefano Sansonetti
I soldi ci sono, stanno lì da mesi sui conti correnti della gestione commissariale, ma ancora non vengono destinati al pagamento dei creditori. Non c’è che dire, nella tortuosa storia della Fiera di Roma sembra che nulla possa filare liscio come l’olio. Eppure, dopo l’omologa del concordato preventivo da parte del Tribunale, la nomina di due commissari, e soprattutto l’aumento di capitale di Investimenti Spa, la società che controlla la Fiera, sembrava finalmente tutto a posto. Neanche per sogno. In questo momento il pallino delle operazioni è in mano ai due commissari giudiziali di Fiera di Roma srl, ovvero il commercialista Francesco Rocchi e l’avvocato Tania Enza Cassandro.
A quanto è dato sapere stanno lavorando alacremente al riparto dei soldi affluiti sul conto corrente della procedura, cercando di mettere a fuoco chi deve avere cosa, dai creditori privilegiati ai chirografari. Per carità, si tratta di un lavoro certosino, per niente facile, ma dall’eterogeneo mondo dei creditori qualche mugugno comincia ad affiorare. Anche perché l’accordo con gli stessi creditori, dopo trattative e non finire, era stato accettato a larga maggioranza l’anno scorso. Per soddisfare le esigenze dei dipendenti e di una parte dei fornitori, compresi fisco e previdenza, si sarebbero dovuti pagare 11,5 milioni di euro entro fine 2017. Soldi che sicuramente ci sono, dopo i 13 milioni di aumento di capitale di Investimenti Spa versati dal principale azionista, ovvero la Camera di Commercio di Roma (10 milioni) e dalla ragione Lazio, azionista diretta e indiretta per il tramite della controllata Lazio Innova (3 milioni). Non ha invece partecipato all’aumento il Campidoglio, guidato da Virginia Raggi, che così dovrà diluirsi nel capitale della Investimenti, di cui oggi detiene il 21,7%. La storia della Fiera, iniziata nel 2006 con l’inaugurazione delle nuove aree sulla Roma-Fiumicino da parte dell’allora sindaco Walter Veltroni, non è mai stata semplice. Il gruppo Investimenti-Fiera ha accumulato debiti per 200 milioni, di cui la magna pars verso Unicredit, che aveva messo a disposizione i soldi per la realizzazione delle strutture da parte del gruppo Lamaro della famiglia Toti. L’obiettivo, a quel punto, è diventato vendere le aree della ex Fiera di Roma (sulla Colombo) per saldare i debiti con la banca. Ma per anni è mancata all’appello la delibera dell’assemblea capitolina per la variante urbanistica necessaria a individuare la relativa superficie edificabile.
Quando l’atto è arrivato, nell’agosto del 2016 (con la Raggi appena insediata), i metri quadri edificabili sono scesi dagli attesi 67.500 a 44.360, con grande scorno di Investimenti, che ha fatto causa al Comune (perdendo). A quel punto nel 2017 la soluzione concordataria si è rivelata inevitabile, con la suddetta omologa del Tribunale e si soldi versati sul conto corrente. Da mesi, però, non si muove una foglia. Dai commissari bocche completamente cucite. Emerge solo una vaga indicazione: entro fine aprile i soldi dovrebbero essere distribuiti. Nel frattempo i creditori, dipendenti in primis, aspettano ancora.
Twitter: @SSansonetti