Paolo Dini è, da sempre, la voce del mattino. Passano gli anni, cambiano le situazioni, ma il suo timbro vocale inconfondibile e la sua sottile ironia rimangono un punto fermo per gli ascoltatori del “morning show”.
Hai cominciato giovanissimo, a One O One ti sei ritrovato accanto a nomi già molto importanti. Quanto hanno influito sul tuo percorso di crescita?
“Tantissimo! Lavorare con dei fuoriclasse è un indubbio stimolo a fare tutto il possibile per esserne all’altezza. Ma in genere può esserci anche il rischio di adagiarsi in un ambiente sazio, soddisfatto e passivo. Una recente analisi sostiene che gran parte dei nostri comportamenti è contaminata (nel bene e nel male) da quelli delle persone che più ci circondano. Ho avuto la fortuna di poter vivere campioni come Leopardo, Gigio D’Ambrosio, Massimo Oldani, Mario Panda, Patrizia Zani, stavo appiccicato loro dalla mattina alla sera, frequentavo gli studi il più possibile. Poco importava la sveglia alle cinque per essere in onda alle sei e mezza con la persona alla quale sarò sempre riconoscente, Fausto Terenzi”.
Il tuo nome è indiscutibilmente legato all’indimenticabile “Fausto Terenzi Show” nella formazione storica con te, Fausto e Leone di Lernia…
“Un fantastico amalgama di differenze, Fausto era geniale, istrionico, trascinatore, irresistibile e insopportabile, determinato, lucido e pazzo, fenomenale fucina di idee. Un leader che sapeva fare un passo indietro e dare spazio a chi lo meritasse. Poi c’ero io, ventiduenne timido pieno di paura di sbagliare ogni cosa; rappresentavo la parte formale e perfettina, più attento a non sbagliare la dizione che a essere brillante, mi mancava la cosa che più gli invidiavo, la sicurezza. Fausto un giorno mi cazziò solennemente: ‘Ti ho voluto con me perché mi fai ridere, fai battute bellissime fuori onda, devi essere quello che sei nel resto della giornata, te stesso, è il microfono a dover avere paura di te, non il contrario!’. Leone di Lernia era la chiusura ideale del cerchio, una potentissima mina vagante capace delle più intelligenti intuizioni come delle battute più becere, era il dio di un trash non ancora codificato. Una volta lo accompagnai a Busto Arsizio a una festa di piazza della Lega Nord, il presentatore lo annunciò e lui salì sul palco in un silenzio imbarazzato. Dopo interminabili secondi, si rivolse deciso alle duemila persone presenti dicendo: “è inutile che fate finta di niente… tanto lo so che siete tutti terroni!”. Ci fu un boato di risate, da qual momento li aveva in tasca, sì… posso giurare di aver sentito per il resto della serata una folla di leghisti cantare in pugliese le sue assurde cover, anche la statua di Alberto da Giussano è stata vista battere il piedino”.
Cosa si è perso per strada del periodo d’oro delle radio e cosa, invece, si è guadagnato?
“Mettere a confronto sulle stesse basi epoche differenti può sviare, è cambiato il mondo, perché la radio dovrebbe essere la stessa? Il rischio è quello di cadere in un pericoloso effetto nostalgia che può confondere la ragione con il sentimento. Tante cose sono diverse. Si è guadagnato in velocità e si è, forse, perso in agilità. Le nuove tecnologie mettono a disposizione risorse inimmaginabili all’epoca, puoi montare un’intervista in un quarto d’ora quando prima servivano mezze giornate di abili taglia e incolla sul nastro di un Revox. Dall’altra parte tra un’idea e la sua esecuzione passava il tempo di un okay pronunciato in corridoio, ora le radio, giustamente strutturate come aziende (perché tali sono) e organizzate per ruoli, reparti e responsabilità, hanno bisogno di più tempo, passaggi e approvazioni”.
La conduzione dei programmi del mattino è una tua caratteristica precipua. Come è cambiato il modo di gestire un morning show?
“Respiro l’alba da quasi 40 anni, maledicendo la sveglia, ma non per questo rinuncerei a quello spazio che rimane potenzialmente il prime-time. Con Fausto e Leone e poi con Lester ho sempre vissuto il morning show. Le dinamiche di base, l’ABC non cambia, il fine rimane quello di distrarre con leggerezza ma non con superficialità. Ugo Tognazzi diceva che, a maggior ragione in tempo di crisi, le persone sentono il bisogno di sorridere.
Oggi il politicamente corretto, l’ipersensibilità di molti, la polarizzazione delle opinioni, rendono l’ironia più difficile da praticare; ci sarà sempre qualcuno pronto a definirsi parte offesa, è tutto bianco o nero, io invece non trovo il grigio un colore necessariamente triste, anzi, rappresenta quel punto di equilibrio che nessuno più presidia e che in molte cose si è perso. Finita la trasmissione il conduttore dovrebbe trasformarsi a sua volta per il resto della giornata in ascoltatore, lettore, telespettatore e non solo di quello che a lui piace ascoltare, leggere, vedere; è ciò che cerchiamo di fare ogni giorno con Chiara Tortorella, Cristiano Militello, Riccardo Russo, Leonardo Fiaschi, con tutta La Banda di R101”.
Oggi, con le infinite possibilità di fruizione della musica, può risultare più difficile intercettare il pubblico, quale ritieni sia la strada da seguire?
“Leggevo pochi giorni fa un interessante articolo sul fenomeno dell’ascoltatore “di ritorno”, cioè di quello che, dopo aver abbandonato la radio per vivere l’esperienza della musica cosiddetta liquida, di nuovo torna a cercare una frequenza e non un Url. Questo sembra riguardare principalmente gli adulti. Pare che l’infallibile algoritmo in realtà costruisca un comodo recinto basato sui propri gusti musicali, alla lunga una noiosissima comfort zone, niente che ti sorprenda e incuriosisca. Nei prossimi 10 anni si dovrebbero coccolare queste fasce, demograficamente impressionanti per numeri, e con più disponibilità di risorse rispetto ai giovani, che comunque poi crescendo arriveranno. La musica? Avere idee chiare, definire una propria “personalità” e perseguirla coerentemente senza troppo badare a quello che suonano i competitor. Seneca diceva “Non esiste vento favorevole per chi non sa dove andare”. (No, non ho fatto il classico… l’ho solo letto sul muro in un bagno d’autogrill)”.