Le Lettere

Il buon cuore di Biden

Il buon cuore di Biden

Il buon cuore di Biden

Assange è finalmente libero. Gli Usa si sono piegati al buon senso e hanno rinunciato a perseguirlo.
Alessio Fante
via email

Gentile lettore, tutto quello che c’era da dire su Assange è stato detto dal direttore Pitoni nell’editoriale di ieri. Mi limito qui a discutere il “buon cuore” degli Usa o di Biden. La verità è che Assange, se portato in America per scontare 175 anni di galera, avrebbe alienato a Biden un altro pezzo di elettorato progressista, oltre quello perduto per Gaza, e avrebbe affossato la sua rielezione. I fatti sono che la Corte di Londra a gennaio esaminò la richiesta di estradizione e annunciò una decisione entro pochi giorni. Seguì un lungo silenzio. Si venne a sapere che erano in corso trattative tra Washington e Londra. Il motivo è quello detto: l’estradizione avrebbe significato un quasi certo addio di Biden alla Casa Bianca. Quindi agli inglesi viene chiesto di tenere il detenuto in stand by. Ma gli avvocati di Assange capiscono che hanno una leva per agire e intimano ai giudici di emettere la sentenza subito, come vuole la legge. Alla fine si trova l’escamotage: Assange si dichiara colpevole di un solo reato che prevede 5 anni di carcere, cioè un periodo già scontato, quindi va liberato. Gli Usa si dicono “soddisfatti” perché è dimostrata la sua colpevolezza. Tutto bene quel che finisce bene? Non proprio: 12 anni di vita di Assange trascorsi in reclusione per la persecuzione iniziata in Svezia con un’accusa di stupro quasi certamente costruita dalla Cia: le solite brave democrazie al lavoro. Nulla di nuovo sotto il sole. Per questo dico: per favore non si parli di “buon cuore”.

 

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