di Gaetano Pedullà
L’Italia è un Paese dove il merito non conta niente. Chi dice il contrario è un cretino o il più illuso degli uomini. La prova sta attorno a noi. Si trova lavoro (se si trova) per raccomandazione. Si fa strada per comparaggio. E chi non ha voglia di scommettersi, di rischiare, di faticare o di studiare, in qualche modo galleggia sempre. Anzi, chi fa i buchi più grandi – in economia, nelle professioni, persino nelle amministrazioni pubbliche – anziché cadere spesso va più avanti di prima. Per i nostri giovani non c’è esempio più negativo, e per questo l’ultimo governo Berlusconi – promotore il ministro dell’Economia Giulio Tremonti – aveva costituito una Fondazione dal nome sicuramente suggestivo: la Fondazione per il Merito. L’Ente, sostenuto al cinquanta per cento ciascuno da Tesoro e Ministero dell’Istruzione, doveva gestire a regime cento milioni di euro ed erogare fino a 2.500 prestiti a ragazzi meritevoli per finanziare sogni, formazione d’avanguardia, idee per un futuro migliore. Ad oltre due anni di distanza, questa Fondazione però non ha mai erogato un soldo, né raccolto fondi privati o dato una semplice targhetta a un qualcuno. Nonostante il sigillo del governo, lo stanziamento di fondi pubblici e l’enfasi con cui i ministri dell’epoca si riempirono la bocca, la loro evocativa creatura è rimasta solo sulla carta. La Fondazione per il merito non ha meritato di esistere. E dire che oggi non c’è niente di cui abbiamo più bisogno del merito. In un’epoca di cervelli portati all’ammasso, di omologazione del pensiero, delle mode, dei comportamenti, chi merita, chi sa guardare oltre l’orizzonte, chi ha idee e fantasia è guardato come un marziano. Un alieno che fa paura e che va frenato, smontato, se possibile disincoraggiato. Se i geni, d’altronde, nella storia non hanno trovato quasi mai il sostegno dei loro Stati, perlomeno il nostro non illuda chi ha voglia di fare. A partire dai cervelli in fuga, nonostante tante promesse lasciati senza scelta tra restare o emigrare.