L’aveva già detto il segretario della Nato, Mark Rutte. Ora lo sostengono anche i ministeri degli Esteri dei big d’Europa, Italia compresa: bisogna andare oltre il 2% del Pil per la spesa militare. Nella riunione di Varsavia, i ministri degli Esteri di Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna e Regno Unito hanno ribadito, in occasione dei mille giorni dall’invasione russa dell’Ucraina, la necessità di “rafforzare la Nato aumentando la spesa per la sicurezza e la difesa”. In linea con gli impegni già assunti, ma considerando anche che “in molti casi sarà necessaria una spesa superiore al 2% del Pil”.
Un impegno ritenuto “imperativo” nella dichiarazione congiunta rilasciata al termine del vertice. Stesso messaggio ribadito da Rutte, secondo cui “non è sufficiente” raggiungere il 2% per la spesa in armi. “Dobbiamo assicurarci di spendere di più per la difesa, per assicurarci che la deterrenza non sia presente solo oggi, ma anche a lungo termine”, afferma il segretario generale della Nato. Intanto la spesa militare dei Paesi Ue è già aumentata, sfiorando l’obiettivo del 2%. Gli Stati membri, infatti, complessivamente dovrebbero raggiungere nel 2024 l’1,9% del Pil complessivo dell’Unione, con un aumento di oltre il 30% rispetto al 2021, secondo quanto emerge dal rapporto approvato dal Consiglio Ue. Quest’anno la spesa per la difesa dovrebbe raggiungere i 326 miliardi di euro, a cui aggiungerne altri 100 di investimenti.
Oltre il 2% del Pil per la Difesa, ma l’Italia è già in affanno
I Paesi europei puntano quindi ad andare oltre il 2%, obiettivo per nulla semplice da raggiungere, soprattutto per Paesi come l’Italia che sono già costretti a tagli pesanti, che spesso ricadono – proprio per salvaguardare le spese militari – su settori molto più delicati come quello della sanità. Concetto che ha ben chiaro il ministro della Difesa, Guido Crosetto, che ridimensiona subito l’obiettivo italiano: “Tutte le volte che si fa la legge di Bilancio c’è difficoltà anche solo nell’aumentare” la spesa militare, per cui andare oltre il 2% viene ritenuto molto difficile.
L’unica possibilità, secondo il ministro, è quella di eliminare i vincoli del Patto di stabilità sulle spese per la difesa, per evitare di metterle “in concorrenza con le spese per l’istruzione e per la sanità”. L’impegno per il momento resta per il 2%, ma qualcosa potrebbe cambiare proprio in seguito al vertice di Varsavia, nel quale i ministri degli Esteri “si sono pronunciati a favore di obbligazioni europee per finanziare la difesa”.
Insomma, gli Eurobond per le spese militari. Solo il ministro italiano, Antonio Tajani, ne ha parlato esplicitamente, ma anche quello polacco ha detto che per la prima volta si apre a questa ipotesi. Criticata dal capodelegazione del Movimento 5 Stelle al Parlamento europeo, Pasquale Tridico, secondo cui “altro non sono che prestiti per finanziare la guerra in Ucraina”. Per Tridico “sarebbe grave se l’Italia falcidiata dalle politiche di austerity trovasse le risorse per finanziare una guerra che dura ormai da troppo tempo”.
Armi a Kiev, la doppia sfida di Meloni
A tenere banco, anche dal G20 di Rio de Janeiro, è la guerra in Ucraina. Dal Brasile è la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, a sfidare di fatto il nuovo corso Usa con la presidenza di Donald Trump di certo meno propensa a sostenere militarmente l’Ucraina, e dall’altra anche una parte della sua maggioranza, ovvero la Lega, che ha più dubbi sull’invio di altre armi a Kiev. Per ora Meloni si schiera con Joe Biden, la cui scelta di inviare missili a lungo raggio, secondo Meloni, è una “risposta all’aggressività senza precedenti della Russia”.
L’Italia ha scelto un’altra linea ma garantisce a pieno il suo sostegno all’Ucraina “fin quando ci sarà la guerra”. Una risposta a chi le chiede se arriverà un altro decreto armi per Kiev. E nessuno stupore per la telefonata tra il cancelliere tedesco, Olaf Scholz, e il presidente russo, Vladimir Putin: Berlino avrebbe infatti espresso posizioni “in linea” con quelle degli altri Paesi. Il problema, per Meloni, resta il fatto che “la Russia è indisponibile a trattare”.