Sospetti, illazioni e tanto fango. Giorno dopo giorno non finisce di stupire l’inchiesta della Procura di Perugia sulla cosiddetta guerra tra toghe che sta minando alla base l’autorità della magistratura italiana e la sua credibilità davanti agli occhi dei cittadini. Uno scenario desolante in cui spuntano ormai quotidianamente nuovi veleni e presunte cospirazioni che hanno il sapore amaro dello sfregio istituzionale come nel caso delle parole, pesanti come macigni, con cui Luca Palamara palesava all’ex ministro dem Luca Lotti l’indicibile sospetto che alcune inchieste da parte della Procura di Roma potessero esser state condotte con il sistema dei due pesi e due misure. Ancora una volta al centro dei pensieri del pm ci sono i rivali, l’allora procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e il procuratore aggiunto Paolo Ielo, che curavano il fascicolo d’indagine sul leghista Armando Siri (nella foto) accusato di corruzione.
L’INTERCETTAZIONE. “La vicenda Siri… fidate… Siri veniva arrestato in condizioni normali!” spiegava Palamara all’amico che lo stava ascoltando in silenzio. Un teorema che per il pm trovava conferma anche nel fatto che l’ex presidente del Consiglio comunale grillino “Marcello De Vito è stato arrestato per molto meno!”. Un distinto trattamento che il magistrato, finito nel ciclone della maxi inchiesta sui tentativi di condizionamento delle nomine nei più importanti uffici giudiziari d’Italia, riusciva a spiegarsi solo in un modo: “È una trattativa che vogliono fare con Salvini, fidati… io non mi sbaglio mai”. Lotti è incredulo. Dopo una breve pausa e probabilmente dopo aver assimilato quanto ascoltato, prova a dire la sua. Timidamente il renziano spiegava quella che, a suo dire, era una ricostruzione illogica perché: “Rischierebbero troppo, Luca”.
Ma il pm, le cui trame che stava intessendo al Csm miravano a ottenere una promozione ad aggiunto a Roma, non aveva alcun dubbi. Per questo incalzava il fedelissimo di Matteo Renzi chiedendogli: “E allora perché non viene arrestato Siri?”. Tra i due scendeva il gelo. Così a Lotti, ancora molto scettico e per nulla persuaso, non restava che ribattere: “Evidentemente non c’erano le condizioni (…) mi piace spiegarla così”. Ma Palamara non è tipo che cambia idea facilmente. Anzi, forse deluso nel non trovare appoggio nell’ex componente del Giglio magico, concludeva: “Vabbè Luca, vedremo”.
NUOVI SOSPETTI. Una conversazione shock che qualcuno bolla come semplici illazioni ma che, invece, deve indurre ad altri ragionamenti. Già perché quanto contenuto in questo breve scambio di battute è, almeno fino ad ora, il sospetto più atroce dell’intera inchiesta. Qui infatti si allude, come se fosse qualcosa di normale, che la magistratura italiana e in particolare quella al vertice degli uffici romani, tratti con la politica. E ancora che i pubblici ministeri adottino diversi metri di giudizio per giudicare fatti simili, per decidere se far andare avanti un’inchiesta o meno, il tutto per un puro e semplice calcolo di opportunità professionale e politica. Insomma sospetti talmente grandi che minano il concetto stesso di terzietà della magistratura e che richiederanno anni per essere assorbiti e messi a tacere.