I cosiddetti “ribaltoni” in Italia non sono un eccezione ma la regola. Applicata e condivisa in tutti i settori, a partire ovviamente dalla politica dove i capovolgimenti di fronte, intesi come passaggio da una formazione all’altra, sono una sorta di elemento distintivo. Non averlo fatto almeno una volta non qualifica, non fa tendenza. Nel mondo del cinema, invece, i ribaltoni sono dei veri e propri colpi di scena. E quello che potrebbe avvenire con la proprietà degli “Studios” romani, ovvero Cinecittà, potrebbe essere clamoroso. Anzi dirompente, visto che potrebbe riportare l’Urbe nell’olimpo delle grandi produzioni internazionali. Perché la privatizzazione, avvenuta con la legge 346 dell’ottobre 1997, non ha dato i frutti sperati e presto potrebbero essere “ripubblicizzati”. Non solo e non tanto per un doveroso ripensamento politico o culturale. Piuttosto in virtù di un repentino salvataggio dalla china fallimentare della componente commerciale del gruppo, cui la sintassi liberista guardava come al faro dell’intera industria culturale italiana.
Passo indietro – Intendiamoci. L’Istituto Luce, che ha l’onere di rimettere un po’ d’ordine in una vicenda non commendevole, fa bene a intervenire. Ma nel momento in cui lo farà dovrà farlo al meglio delle proprie possibilità. “Non è un’indiscrezione, c’è un emendamento approvato nel Milleproroghe che consente, per ora, che Cinecittà possa eventualmente tornare interamente pubblica. Anche, in prospettiva, con il coinvolgimento della Rai”, spiega il ministro dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, Dario Franceschini, a cui spetta la gestione dell’eventuale transazione. “Pensare che Cinecittà possa diventare una cittadella del cinema e dell’audiovisivo sempre più importante, anche sulla base della crescita di questi anni, è una prospettiva possibile”, sostiene il titolare del dicastero, “ma adesso il rapporto con i privati è tema di una trattativa tra l’istituto Luce Cinecittà e i privati di Cinecittà studios. Quindi c’è la cornice legislativa, come finisce lo vedremo”. Speriamo presto, perché il cinema italiano ha bisogno di ossigeno e non di chiacchiere. D’altro canto la gestione della cordata che prese possesso della gloriosa struttura di via Tuscolana si è rivelata deludente. Persino l’affitto ha visto un arretrato consistente. Nel 2012 fu operata una ristrutturazione pesante, dagli effetti nefasti sull’occupazione: ricorso ai contratti di solidarietà e la cessione all’esterno di rami societari. Con un approccio finalmente depurato di fardelli del passato, urlavano i capitani coraggiosi Abete e Della Valle, ecco che si sarebbe dischiuso un futuro luminoso. Venne ipotizzata una parziale edificazione della vasta area, con la proposta di costruire un mega albergo all’interno delle mura. Questo, forse, era solo l’inizio di una vera e propria strategia di trasformazione del gioiello del cinema in un’altra cosa. Ora, forse, si volta pagina. Il ritorno nell’alveo pubblico degli Studios, però, non deve essere un mero espediente finanziario. Può divenire l’avvio della ricostruzione di una moderna politica pubblica. In giro per il mondo Cinecittà è un brand prestigioso di un Paese in crisi e in declino. Non solo. Le stesse molteplici piattaforme tecnologiche, capaci di moltiplicare canali e forme di fruizione, hanno disperato bisogno di contenuti. Il messaggio è il mezzo, più che il fine…