di Alessandro Ciancio
Sono decenni che Marco Pannella li accomuna ai celeberrimi ladri di Pisa, quelli che litigano di giorno per poter meglio rubare insieme di notte. E davvero è stata questa l’impressione che i partiti hanno dato ieri alla Camera, impegnata sulla discussione della legge che dovrebbe abolire il finanziamento pubblico. Il condizionale è d’obbligo, dal momento che gli impegni pubblici del premier Letta e dei leader della maggioranza non sembrano essere una garanzia sufficiente perché il Parlamento si adegui finalmente alla volontà che sul punto i cittadini hanno già chiaramente manifestato vent’anni or sono.
Tra accuse incrociate e qualche insulto, in un’atmosfera resa elettrica anche dalle dimissioni di massa annunciate dai parlamentari del Pdl, l’esame del testo si è arenato così sull’articolo 4 e riprenderà martedì, quando sarà affrontato anche il tema delle norme sul tetto delle donazioni private. Su questo la maggioranza starebbe ancora cercando una mediazione, che potrebbe configurarsi nella riduzione graduale della quota dei finanziamenti dei privati ammessi rispetto al bilancio del partito. Al momento, sono stati quindi approvati i primi tre articoli del progetto legge. Il primo prevede l’abolizione dei rimborsi elettorali e dei contributi pubblici erogati per l’attività politica, il secondo definisce i partiti politici «libere associazioni attraverso le quali i cittadini concorrono, con metodo democratico, a determinare la politica nazionale», mentre il terzo afferma che «i partiti politici che intendono avvalersi dei benefici previsti dalla presente legge sono tenuti a dotarsi di uno statuto, redatto nella forma dell’atto pubblico. A questo è allegato, anche in forma grafica, il simbolo, che con la denominazione costituisce elemento essenziale di riconoscimento del partito politico».
Scambio di accuse
In aula è successo di tutto. I deputati del Movimento Cinque Stelle hanno attaccato non solo il Pd e il Pdl ma anche Sel, beccandosi repliche altrettanto velenose, mentre il leghista Andrea Buonanno si è scagliato contro la presidente Laura Boldrini: «Lei è un presidente che sta cercando di modernizzare questa Camera dei deputati; talmente la vuole modernizzare, che aumenta ancora di più le spese».
Dal canto suo, durante un acceso botta e risposto su un emendamento riguardante i rimborsi, Sel ha accusato i grillini di voler consegnare la politica ai Marchionne, soltanto a chi può permettersela. Nazzareno Pilozzi (Sel) ha affermato: «Ho sentito il collega Fraccaro leggere puntigliosamente la delibera che dava conto dei soldi ai partiti, che per noi di Sel sono troppi e sono mal spesi. Però, vedi, noi abbiamo la possibilità di dire questo a testa alta e con la schiena dritta, perché noi in questi anni quei pochi soldi pubblici che abbiamo ricevuto li abbiamo spesi per tutelare le ragioni dei più deboli e non per comprare i diamanti, non per fare cose di cui ci dobbiamo vergognare». «Devo dire – è stata la replica del pentastellato Fraccaro – che sentire un deputato della Repubblica dire di camminare a testa alta e di andare orgoglioso di avere intascato il finanziamento pubblico dopo che c’è stata un’espressione popolare con un referendum è vergognoso». La scintilla che ha scatenato la ‘rissa’ finale è stata però un intervento del grillino Carlo Sibilia, che ha accusato il Pd di essere un partito di «capibastone», facendo il nome di paracadutati in Parlamento. Dai banchi dem si è levato allora un mormorio, seguito dalle parole di Pilozzi: «Leggo su Wikipedia che l’onorevole Sibilia, candidato alle parlamentarie del 2013, ottiene 113 preferenze! Non accetto le sue accuse! Qui bisogna rispettare tutti!». Applausi a scena aperta di Sel, Pd e Sc e urla «Scemo, scemo!» all’indirizzo di Sibilia. L’interessato ha reagito: «Vado orgoglioso di quei 113 voti perché non ne ho comprato neanche uno». La piddina Pina Picierno a quel punto ha elencato una serie di casi di parenti eletti tra le fila del M5S.
E via andare (tristemente). La campagna elettorale è già iniziata e chissà che anche stavolta i contendenti non riescano a tenersi stretti i tanto vituperati ‘rimborsi’.