Stai a vedere che il premier Giuseppe Conte non aveva esagerato a puntare il dito contro la sanità lombarda. Un sospetto, beninteso tutto da dimostrare, a cui ha risposto piccato il governatore leghista Attilio Fontana (finito intanto in quarantena dopo che una sua stretta collaboratrice è risultata positiva al tampone) ma che sembra esser stato preso sul serio dalla Procura di Lodi. Già perché proprio ieri i magistrati hanno aperto un’inchiesta conoscitiva sulle dinamiche di diffusione del coronavirus e sulle procedure adottate negli ospedali di Codogno, Casalpusterlengo e Lodi, e hanno anche inviato i Nas dei carabinieri di Cremona per ispezionare i tre nosocomi in cui si sono registrate le presunte inefficienze. Una mossa che ha il dichiarato scopo di prevenire ulteriori contagi, comprendendo – qualora ce ne siano stati – i possibili errori commessi dalla macchina di prevenzione e controllo.
GRAVE RITARDO. A far scattare il sospetto che la gestione dell’emergenza non sia stata del tutto puntuale, c’è soprattutto il caso del paziente 1. Si tratta del 38enne di Codogno che, come emerso in queste ore, il 19 febbraio entra in Pronto Soccorso con i sintomi del coronavirus. Peccato che nell’ospedale nessuno consideri questa possibilità, così l’uomo finisce in un normale reparto dove lo vanno a trovare parenti e amici. Ma passate 36 ore e con l’aggravarsi dei sintomi, il 38enne viene sottoposto al test del tampone che, come noto, è risultato positivo. Non solo. A suggerire che qualcosa non abbia funzionato è anche chi nelle zone rosse del Lodigiano ci lavora. “Gli operatori sanitari non possono essere messi in pericolo“, spiega il segretario del sindacato Anaao-Assomed, Carlo Palermo, “perché vuol dire mettere in pericolo la salute di tutti. Il fatto che siano stati chiusi l’ospedale di Codogno, quello di Schiavonia e che ci sia stato un dermatologo del Policlinico di Milano contagiato, significa che la fase ospedaliera non è stata curata abbastanza: nei reparti sono entrati soggetti infettati”.
Proprio per questo, spiega il sindacalista, “è urgente rendersi conto degli errori fatti perché tutte le Regioni si facciano trovare preparate”. Ma c’è di più perché, sempre secondo Palermo, “ci sono arrivate segnalazioni dai nostri iscritti di mancanza dei cosiddetti dispositivi di protezione individuale, quindi: mascherine, occhiali, sovra-camici e guanti. Impossibile fornire numeri precisi, ma il solo fatto che il virus abbiamo infettato gli ospedali testimonia che le denunce erano fondate”. Proprio partendo da queste segnalazioni, le Regioni si stanno organizzando garantendo che i “rifornimenti sono in arrivo”.
LO SCANDALO DEL TAMPONE. Come se non bastasse e a riprova che qualcosa sembra proprio non aver funzionato, c’è lo scoop del giornalista Antonino Monteleone andato in onda nella puntata di ieri de Le Iene. Il cronista si è messo in contatto con una persona di Codogno che nonostante abiti nello stesso edificio del paziente 1, e sia entrato in contatto con un altro contagiato ricoverato al Sacco di Milano, da oltre sette giorni contatta vanamente il 112 per ricevere assistenza. “È una settimana che ho febbre e quindi da domenica scorsa quando ho saputo dell’esplosione del virus, proprio nel mio paese, ho chiamato il mio medico curante” che “mi ha indirizzato immediatamente al 112, dicendomi che lui non mi avrebbe accolto nel suo studio e non sarebbe venuto nemmeno a casa mia a visitarmi” spiega l’uomo al giornalista. Sempre secondo il racconto dell’ammalato: “Ho chiamato più volte i numeri dell’emergenza ma nessuno ancora è venuto a farmi il tampone”.