I minorenni chiedono di essere ascoltati ma lo Stato li ignora

In un Paese che invecchia e parla solo agli adulti, i minori restano inascoltati: scuola, famiglia e istituzioni li ignorano

I minorenni chiedono di essere ascoltati ma lo Stato li ignora

Oggi si celebra, per la prima volta, la Giornata nazionale dell’ascolto dei minori. In un Paese dove i minori sono sempre meno – quasi il 7% in meno rispetto al 2019 secondo i dati raccolti da Openpolis – la domanda più urgente è anche la più semplice: chi ascolta le bambine, i bambini, le ragazze e i ragazzi?

È un diritto sancito dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia: “Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa”. Ma tra il principio e la realtà, come spesso accade, ci sono chilometri di distanza.

Ascoltati sempre meno, proprio quando serve di più

Secondo l’indagine promossa dall’Istituto superiore di sanità all’interno del programma internazionale Hbsc (Health behaviour in school-aged children), al crescere dell’età diminuisce la percezione di essere ascoltati: il 60% degli 11enni dice di sentirsi accettato dagli insegnanti, ma tra i 15enni la quota crolla al 35,4%. La stessa dinamica vale anche in famiglia: a 11 anni più dell’80% dei ragazzi riesce a parlare con la madre, ma la percentuale cala drasticamente già a 13 anni. Per le ragazze, in particolare, aprirsi con i genitori è ancora più difficile.

L’ascolto, dunque, si riduce proprio quando servirebbe di più. L’adolescenza è un’età in cui la voce vacilla e si cerca spazio. Ma le istituzioni, la scuola e spesso anche gli adulti a loro più vicini sembrano diventare sordi.

I numeri raccontano una sfiducia strutturale: solo il 7% dei giovani italiani dichiara di aver contattato un decisore politico per affrontare un problema. Perché non ci provano? Perché il 25% è convinto che “chi prende decisioni non ascolti persone come me” (fonte: Eurobarometro, 2024). È la fotografia di una democrazia interrotta prima ancora di iniziare.

Il risultato è che il diritto all’ascolto resta inchiodato alla retorica. Si celebra, si dichiara, si proclama. Ma resta privo di strumenti, di luoghi, di politiche che ne garantiscano l’effettivo esercizio. Nessun piano strutturale, nessun investimento mirato, nessuna valutazione di impatto generazionale sulle decisioni pubbliche. I giovani restano spettatori, raramente protagonisti.

Una generazione sempre più fragile e invisibile

Questo disallineamento è ancora più grave se si considera il contesto demografico: oggi in Italia ci sono due over 65 per ogni under 14. E nei prossimi anni questo squilibrio è destinato ad aumentare. Dal 2019 al 2024 la popolazione minorile è calata nel 98% dei comuni italiani. Un calo superiore al 10% in Sardegna e Basilicata, sfiorato in Molise e Puglia. Solo due città capoluogo – Ragusa e La Spezia – hanno registrato un lieve aumento.

Eppure, nonostante questa progressiva rarefazione, le giovani generazioni restano sistematicamente marginali nelle agende politiche. La loro povertà è spesso educativa, il loro disagio ancora etichettato come “emergenza”, le loro richieste rimandate a un tempo indefinito che non arriva mai.

In un Paese che non ascolta i giovani, non sorprende che i giovani non parlino. Ma il silenzio non è una scelta: è un sintomo. Quando una ragazza o un ragazzo rinuncia a cercare confronto, significa che lo spazio del dialogo si è già chiuso. L’indifferenza adulta diventa complice di un’esclusione generazionale che tocca ogni ambito: scuola, famiglia, istituzioni.

La Giornata dell’ascolto non può essere una ricorrenza simbolica. Deve essere un punto fermo da cui ripartire per restituire voce a chi ne ha sempre meno. Perché ascoltare non è solo udire: è dare valore, responsabilità, riconoscimento. E chi non sa farlo verso i propri figli e figlie, ha già fallito come comunità.

Il rischio più grande non è che i giovani non parlino. Il rischio più grande è che noi adulti smettiamo di volerli sentire. E a quel punto, davvero, non ci sarà più niente da dire.