Se i supervitalizi del Senato sono stati resuscitati dalla Commissione contenziosa presieduta da Giacomo Caliendo (FI), in Europa i ricorsi degli ex europarlamentari italiani – o dei loro eredi – per riprendersi il malloppo sono stati pesantemente bocciati. Un incredibile cortocircuito che pone ora seri interrogativi sulla decisione presa a Palazzo Madama. Dove, mentre alcuni giorni fa Caliendo e compagni graziavano gli ex senatori dichiarando illegittimo il ricalcolo contributivo delle pensioni d’oro con effetto retroattivo, in Lussemburgo i giudici della Corte di Giustizia Ue hanno ritenuto la delibera dell’Ufficio di presidenza della Camera del 2018, che porta il nome del presidente Roberto Fico – gemella e, per così dire, antesignana di quella della presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati, ma a differenza di quest’ultima tuttora in vigore – conforme alle norme dell’ordinamento europeo.
EFFETTO DOMINO. Ma partiamo dal principio. Con i loro ricorsi contro il Parlamento Ue, gli ex eurodeputati eletti in Italia o i loro superstiti hanno chiesto che il Tribunale Ue disapplicasse nei loro confronti il ricalcolo delle pensioni di anzianità o di reversibilità parametrate, come previsto dalle regole europee, agli assegni percepiti dai membri della Camera bassa (in Italia la Camera dei deputati) dei Paesi di provenienza. In altre parole: poiché i vitalizi degli ex europarlamentari italiani (e relative reversibilità) sono calcolati in relazione agli assegni degli ex deputati, al taglio subìto da questi ultimi per effetto della delibera Fico, corrisponde anche un taglio per i primi. Un’ingiustizia per l’eurocasta. E così il plotone dei ricorrenti, ha deciso di rivolgersi addirittura alla Corte di Giustizia Ue.
LA DECISIONE. Peccato, però, che gli eurogiudici abbiano bocciato tutte le istanze. Se è vero che la Corte Ue non può sindacare la legittimità della delibera Fico rispetto all’ordinamento dello stato membro, si legge nella sentenza, essa è tuttavia competente ad esaminare la legittimità degli atti del Parlamento Ue: “Pertanto, nell’ambito dei presenti ricorsi di annullamento, il Tribunale può verificare se l’articolo 75 e l’articolo 2, paragrafo 1, dell’allegato III, che istituiscono la regola di pensione identica, non violino le norme di rango superiore del diritto dell’Unione”. Allo stesso modo il Tribunale Ue può esaminare “se l’applicazione delle disposizioni della deliberazione n. 14/2018 (il taglio dei vitalizi, ndr) da parte del Parlamento, ai sensi della regola di pensione identica, sia conforme al diritto dell’Unione”.
Partendo da queste due premesse la Corte Ue ha rigettato i ricorsi, verificando che non c’è in quella delibera alcuna violazione delle norme dell’ordinamento Ue. Un dettaglio non da poco e che crea un precedente da rompicapo: a conti fatti il taglio dei vitalizi sarebbe per la Commissione contenziosa del Senato anticostituzionale, ma al tempo stesso assolutamente in linea col diritto europeo. Ma c’è di più. Secondo i ricorrenti le decisioni impugnate, comportando una riduzione dell’importo delle pensioni, avrebbero leso finanche il loro diritto di proprietà senza che ci sia un qualche interesse generale che lo giustifichi. Ma anche questo motivo è stato confutato dai giudici europei. Non poteva mancare, infine, il canonico dulcis in fundo: i ricorrenti, infatti, sono stati condannati al pagamento delle spese. Leggere per credere: “Poiché i ricorrenti sono risultati soccombenti, devono essere condannati a sopportare le proprie spese e quelle del Parlamento”. Insomma, respinti con perdite.