“Non si può escludere nulla. È chiaro che sul traffico di rifiuti gli interessi economici sono altissimi, dunque l’ombra di interessi criminali c’è”. Il magistrato ed ex assessore capitolino alla Legalità al tempo della giunta di Ignazio Marino, Alfonso Sabella, non ha paura di avanzare quella che ad oggi resta solo una lontana ipotesi sullo sfondo ma che, dopo il secondo caso di roghi all’impianto Salaria nel giro di tre mesi, non è poi così remota. “Dopo anni di esperienza da magistrato, dico che non si può escludere nulla”.
Neanche la mano mafiosa?
“Sta indagando la Procura, dunque lascio a chi è competente il ruolo di svolgere le indagini. Ma è chiaro che sul traffico di rifiuti gli interessi economici sono altissimi, dunque l’ombra di interessi criminali c’è”.
Non c’è dubbio che intorno al ciclo dei rifiuti ruota uno dei più grandi business che fa gola alle criminalità. Roma potrebbe essere nel mirino?
“La mia esperienza mi insegna che laddove ci sono soldi che girano e ci sono crepe nel sistema amministrativo, lì le criminalità organizzate tentano di insediarsi e fare affari”.
Potrebbe essere il caso della nostra Capitale?
“Roma è la più grande e popolosa città d’Italia, oltre ad essere capitale. È chiaro che statisticamente produce più rifiuti di tutti. Ha poi una gestione che presenta com’è noto delle criticità. Da questo punto di vista Roma ha tutte le caratteristiche per essere oggetto predatorio e di maggior interesse delle mafie. E a tutto questo c’è da aggiungere che sul piano della raccolta e del trattamento Roma non ha fatto passi avanti, ma passi indietro”.
Per quale ragione secondo lei?
“C’era un percorso avviato. Io credo che un percorso, avviato con Ignazio Marino, sia stato interrotto. Poi se sia cominciato un altro percorso, questo lo vedremo. Per ora i risultati credo siano sotto gli occhi di tutti i romani”.
Ci sono gli anticorpi per frenare eventuali mire criminali?
“A Roma gli anticorpi purtroppo credo che ancora non ci siano, né siano stati creati. Si continua in un’opera di negazionismo che non fa bene alla città”.
In che senso?
“Roma si è svegliata mafiosa con il funerale cafone dei Casamonica in mezzo a carrozze, rose e cavalli. Non si è compreso, invece, che quello era solo l’epifenomeno di un fenomeno che già era presente in città da tanto tempo. Tutti i rapporti dei vari osservatori e della stessa antimafia segnalano da tempo che a Roma ci sono piazze di spaccio”.
Per alcuni non è un dato così eclatante.
“E invece piazze di spaccio significa inevitabilmente controllo del territorio da parte delle mafie. Parliamo di luoghi blindati e controllati da vigilantes, cancellate, telecamere; parliamo dunque di territori sottratti allo Stato e ora in mano alla criminalità. Le istituzioni romane dovrebbero cominciare a capire e a confrontarsi con questi problemi in maniera molto più seria di quanto fatto finora. Non c’è più tempo per rimandare”.
Crede che il problema a Roma, un po’ come al Nord, sia stato quello di pensare che la mafia non esiste?
“È fisiologico che i cittadini rifiutino l’idea che nella propria città ci siano presenze mafiose. Però per combattere un fenomeno bisogna conoscerlo. Purtroppo a Roma le istituzioni per troppo tempo hanno preferito non rendersene conto”.