di Nicoletta Appignani
L’Italia per i russi è una terra di conquista. E quando si va in vacanza in Costa Smeralda, scendendo dall’aereo privato si possono saltare anche i controlli.
Nessun problema, con il doganiere amico. Non solo. Al cibo sardo si preferisce quello di casa, il caviale appunto, di cui è però vietata l’importazione. Così, basta allungare una mazzetta alla persona giusta e dal jet si percorre una corsia preferenziale.
Avendo i soldi non è un problema, se ci si può permettere di pagare una “piccola” mancia: all’incirca 9000 euro al capo della dogana per un’operazione chirurgica, o magari assumere direttamente i suoi parenti nelle ville di Porto Cervo.
Questa è l’Italia dei turisti, fin troppo facilmente preda dei capricci dei miliardari.
Le accuse
Stavolta le indagini, condotte dalla Guardia di finanza di Olbia, hanno portato all’arresto di Salvatore Siniscalchi, dirigente della dogana all’aviazione generale del capoluogo gallurese. Coinvolti nelle accuse della procura di Tempio Pausania anche il suo sottoposto, Nicola Castagna, e Francesco Cossu, responsabile della Eccelsa Aviation e dirigente della Gaesar, la società di gestione dell’aeroporto.
I capi d’accusa per i tre vanno dalla concussione alla corruzione, fino all’omissione di atti di ufficio e al concorso in contrabbando. Revocate le misure cautelari, i tre sono già tornati a lavoro e per il doganiere Nicola Castagna è stato stabilito un trasferimento a Cagliari. Non ci sono solo loro però, nel fascicolo aperto dai magistrati. Si tratta di piccoli ingranaggi all’interno di un meccanismo ben più grande del quale in realtà i veri beneficiari erano i clienti: i magnati russi.
Il caviale in valigia
Trattandosi della Costa Smeralda, la vicenda non poteva che avere inizio in estate, la scorsa, quando il miliardario russo Oleg Deripaska viene fermato dalla guardia di finanza di Olbia appena uscito dalla dogana.
Per capire il calibro del personaggio, bastano pochi cenni biografici: il magnate in questione figura nell’elenco dei dieci uomini più ricchi del mondo ed è amico personale di Vladimir Putin. Le fiamme gialle effettuano un controllo e sequestrano alcune scatole di caviale. Non uno qualsiasi però: si tratta di una specie protetta di cui l’importazione è vietatissima. È qui che sorge il dubbio nei militari: come è potuto sfuggire alla dogana?
Proprio a partire da questo accertamento hanno preso via le indagini e sono saltati fuori altri nomi di primissimo piano: quello di Alisher Usmanov, ad esempio, uno dei padroni dell’Arsenal, con villa da sogno in Costa Smeralda e una barchetta per le escursioni in mare aperto: la cronaca del 2009 raccontava di un suo yacht da 110 metri ancorato al largo di Piccolo Pevero.
C’è poi Valéry Kazikaev, uno dei boss dell’aeroporto Sheremetyevo di Mosca. Quest’ultimo, proprietario anche lui di una villa a Porto Cervo, avrebbe ringraziato Siniscalchi finanziandogli un’operazione chirurgica alle gambe con un complesso giro di versamenti tra conti esteri, a cui gli inquirenti sono riusciti a risalire. Non solo. Risulta infatti che un parente del capo della dogana sia stato anche assunto da uno dei magnati per occuparsi della sua villa. Lo stipendio mensile? Sui 2200 euro al mese.
Le soffiate del doganiere
Ora l’indagine è al vaglio della magistratura, ma il numero degli indagati sarebbe destinato ad aumentare.
Mentre il fascicolo si arricchisce anche di un piccolo intrigo internazionale. Grazie alla posizione di cui godeva all’aeroporto di Olbia, il capo della dogana era in grado di conoscere i movimenti di tutti i personaggi più in vista in arrivo o in partenza dalla Costa Smeralda. In almeno un caso, secondo gli inquirenti, avrebbe riportato informazioni ad uno degli uomini alle dipendenze di Deripaska sugli spostamenti di un altro “vip” passato per lo scalo da lui diretto: voci non confermate parlano niente di meno che del discusso Ilham Aliyev, presidente dell’Azerbaijan.
L’amico di Putin Oleg insomma si informava sul leader di un paese che la Russia, proprio nel giugno 2012, teneva sotto stretta osservazione, date le scaramucce di confine fra azeri e armeni che avevano portato alla morte di otto soldati. E soprattutto in vista del rinnovo del contratto d’affitto per la ex base radar sovietica di Gabala.