Una tipica giornata del cosiddetto campo largo dai contorni del campo minato. Ieri mattina il presidente della Regione Emilia Romagna nonché presidente del Partito democratico dopo avere perso le primarie per la segreteria, Stefano Bonaccini, ha rilasciato un’intervista a La Stampa in cui ha affrontato il tema del cosiddetto Terzo polo che non è mai stato terzo e che non è mai stato un polo e che ora chiamano “centristi”.
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“Potrei dire che in Sardegna i centristi non erano con noi – ha spiegato Bonaccini – e la lista dei 5S non è andata bene. Ma per la prima volta quel Movimento ha eletto una presidente alla guida di una Regione. Noi dobbiamo rivolgerci a tutte le forze di opposizione al Governo, che non ha certo bisogno di stampelle. Il Pd deve crescere e allargare la sua base elettorale per essere il perno di un centrosinistra largo e aperto alle migliori esperienze civiche”.
Rapida esegesi dell’intervista: per Bonaccini e per la corrente di minoranza che rappresenta all’interno del Pd inseguire Renzi e Calenda è fondamentale per poter essere credibili. Sanno tutti che il sogno di Base riformista – la corrente che si oppone alla segretaria Elly Schlein – sarebbe un Pd chioccia del Terzo polo senza il M5S ma la vittoria in Sardegna ha smussato i loro sogni. Con il M5S ma assolutamente con i centristi, quindi. Ieri in un’altra intervista ha parlato il leader di Azione Carlo Calenda, politico irraggiungibile nell’arte di distinguersi per i no. Calenda dice che “non esiste il campo largo, ma c’è un bivio: o i riformisti o i 5 Stelle, che tutto sono fuorché di centrosinistra”, di fatto smentendo il progetto politico che sta alla base della segreteria di Elly Schlein.
Per il leader di Azione ciò non preclude certo i furbi accordi sul piano locale, dove “è più facile ritrovarsi attorno a un progetto per il territorio e a un candidato credibile”. Ma di adottare lo stesso schema per la guida del Paese non se ne parla: “Se il Pd vorrà restare insieme al M5S, capitanati da un signore che nega il sostegno all’Ucraina, noi non ci saremo perché se anche dovessimo vincere, poi saremmo incapaci di governare”. Rapida esegesi della sua intervista: mai con il M5S a meno che non si sia condannato all’irrilevanza.
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Per Calenda il campo largo non è altro che un ventaglio di possibilità per adottare l’antica politica dei due forni di andreottiana memoria. Ci si allea con chi probabilmente vince per pesare molto di più della proprie dote elettorale. Le “intese locali”, come le chiama il leader di Azione, sono la palestra per un’oscillazione nazionale. Non si capisce bene perché gli indigeribili 5S dovrebbero diventare appetitosi sotto un certo numero di abitanti elettori ma la teoria raccoglie consensi. Così dopo Soru in Sardegna e D’Amico in Abruzzo ora Azione potrebbe allearsi con la destra.
Sono ben avviati i contatti per Bardi in occasione delle prossime elezioni in Basilicata e con Cirio per il Piemonte. Una tipica giornata del cosiddetto campo largo. La minoranza del Partito democratico dolcemente schiaffeggia la sua segretaria imponendo il centro come imprescindibile punto di partenza di una coalizione. Il leader M5s non parla e non parla nemmeno la segretaria del Pd. A rispondere all’opposizione interna dem ci pensa un pezzo del centro (che non parla più con l’altro pezzo del centro) per dire che la prima condizione di un qualsiasi dialogo è l’esclusione di altri. La domanda rimane sempre la stessa: come può essere potabile un campo largo così?