Un metro e novanta centimetri di muscoli e rabbia. Con sguardi minacciosi e velate intimidazioni. E l’abitudine di alzare le mani. “Un trafficante internazionale di cocaina con disturbo antisociale della personalità”, rammenta Giuseppe Nicolò, psichiatra, direttore del dipartimento di Salute mentale dell’Asl Roma 5. Quel trafficante è uno dei tanti pregiudicati comuni che oggi popolano le Rems, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza nate con la legge 81 del 2014 per sostituire gli ospedali psichiatrici giudiziari (chiusi definitivamente il 31 marzo del 2015) e per accogliere le persone affette da disturbi mentali che hanno commesso reati. Il punto è che i pregiudicati comuni non sono eccezioni: stanno diventando una regola. Infatti sono quasi il 40% dei soggetti ospitati.
I medici in rivolta per le aggressioni subite. I 646 posti delle 32 Rems presenti in Italia sono sold out. E in lista d’attesa ci sono 755 persone
“Soggetti violenti e aggressivi per i quali non ci possono essere trattamenti se non quelli restrittivi e di custodia – dice Nicolò -. Parliamo di persone che assumono un ruolo dominante e prevaricatore all’interno delle strutture e che mettono a rischio non solo l’incolumità degli operatori sanitari ma anche quella dei pazienti, ammalati, che hanno bisogno di terapie. Ho tenuto il conto. In otto anni ci sono state nove gravi aggressioni che hanno messo in serio pericolo la vita di medici e infermieri. E questa è solo la punta dell’iceberg. Perché poi, quotidianamente, ci sono le minacce, anche ai nostri familiari. E le esplosioni di violenza: sfondano le porte, scagliano oggetti”.
Che sta succedendo? È del 2005 la sentenza della Corte di Cassazione che ha imposto una interpretazione più ampia del concetto di infermità mentale, integrando i disturbi della personalità tra le cause idonee a escludere o a limitare la capacità di intendere e volere. Un pronunciamento che ha fatto dell’Italia un caso unico al mondo. E che sta snaturando lo scopo per il quale sono state pensate le Rems, capovolgendo tutto. Di queste strutture si è già occupata la Corte Costituzionale rilevando l’inadeguatezza della legislazione vigente, con la mancata previsione in capo al ministero della Giustizia dei poteri relativi all’organizzazione e al funzionamento. Sì, perchè le Rems sono di competenza esclusiva della sanità, quindi dei dipartimenti di Salute mentale che dipendono dalle Regioni. Non dispongono, perciò, di polizia penitenziaria ma solo di vigilanza privata: guardie giurate che però possono intervenire a difesa della struttura ma non delle persone.
Gli psichiatri si sentono sempre più soli e sono in rivolta
È così che viene minata la sicurezza. “Mentre gli psichiatri, che si sentono sempre più soli, sono in rivolta – dice Emi Bondi, presidente della Società di psichiatria -. Anche perché i tanti che dovrebbero davvero usufruire del trattamento sanitario in una Rems restano tagliati fuori”. Nei 32 centri esistenti oggi in Italia sono accolte 646 persone mentre in lista d’attesa ce ne sono 755: quasi sempre a piede libero, in libertà vigilata, affidati alla sanità pubblica, a cui sono stati delegati compiti di custodia e controllo, compiti per i quali non ha mandato né competenze, come rileva la Società italiana di psichiatria. Sono sempre i medici a ricordare che era in libertà vigilata anche Domenico Livrieri, tossicodipendente con gravi problemi psichiatrici che a Milano, lo scorso mese di ottobre, ha ucciso e fatto a pezzi la vicina di casa Marta Di Nardo.
E rammentano anche la drammatica fine della psichiatra di Pisa Barbara Capovani, aggredita da un paziente. Entrambi gli assassini erano in lista d’attesa. “È vero che c’è una maggiore tendenza da parte dei giudici a inviare in queste residenze persone che non hanno una vera e propria patologia psichiatrica – conferma Mauro Palma, per otto anni presidente del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale -. D’altro lato c’è anche la tendenza a non riconoscere il disturbo mentale: se parli con gli psichiatri che operano all’interno delle carceri spesso ti dicono che il forte malessere dei detenuti è una reazione alle condizioni di detenzione. In realtà servirebbe un maggiore confronto tra gli operatori sanitari e la magistratura di vigilanza”.
In base alla legge queste strutture sanitarie dovrebbero accogliere solo chi è affetto da disturbi mentali e ha commesso reati
Resta il fatto che i giudici dispongono la custodia nelle Rems sulla base di una perizia e della legislazione. E che questi centri sembrano essere stati dimenticati. Dovrebbero accogliere al massimo 20 pazienti, alcuni ne ospitano anche 30, con organici ridotti all’osso. Alcune regioni – Umbria, Valle d’Aosta e Molise, oltre alla Provincia autonoma di Bolzano – ne sono addirittura sprovvisti. Si arriva al paradosso che persone che dovrebbero essere curate sono costrette a rimanere in carcere: adesso sono 45.
“Intanto noi sempre più di frequente abbiamo a che fare con rapinatori, trafficanti di droga, stupratori o estorsori con comportamenti antisociali invece che con persone gravemente ammalate – osserva Nicolò -. Con due psichiatri per struttura se va bene, perché nessun collega accetta di lavorarci: quando scorriamo le graduatorie tutti rifiutano il posto. La verità è che sono state scaricate sulla sanità responsabilità che dovrebbero essere anche dell’amministrazione giudiziaria e penitenziaria. Un fallimento. Con la costituzione delle Rems abbiamo voluto riprodurre una mini riforma Basaglia ma abbiamo dato una risposta al problema puramente ideologica”.