Dopo tanti “forse” e tanti “ma”, è arrivato finalmente il via libera definitivo dell’Aula della Camera al Codice antimafia. Il testo è stato definitivamente approvato a Montecitorio con 259 voti a favore, 107 contrari e 28 astenuti. Contro il testo hanno votato i deputati di Forza Italia, M5s e Fratelli d’Italia. Ad astenersi, invece, sono stati quelli della Lega Nord e di Direzione Italia. Tra i primi a commentare l’approvazione del testo, Giuseppe Antoci, da poco responsabile Legalità del Pd e che ha sperimentato, da presidente del Parco dei Nebrodi, sulla sua pelle cosa voglia dire finire nelle mire della mafia. Antoci ha parlato di un “contributo importante, che aspettavamo, e che fa fare un passo avanti all’Italia nella lotta alla criminalità”. Plausi anche da altri esponenti di spicco della maggioranza, da Rosi Bindi fino ad Andrea Orlando, secondo il quale “da oggi ci sono più strumenti per combattere la mafia, più trasparenza nella gestione dei beni confiscati, più garanzie per chi è sottoposto a misure di prevenzione”.
Di tenore nettamente contrario gli interventi dell’opposizione. A cominciare da Riccardo Nuti. Per il deputato, membro di commissione Antimafia, il codice approvato “di anti non ha praticamente nulla”. Quella approvata, continua Nuti, è una legge “farlocca piena di conflitti di interessi e senza la benché minima trasparenza sulla gestione dei beni confiscati: una torta da 25 miliardi che verrà affidata al carrozzone Invitalia”. Tra i cambiamenti più emblematici, sicuramente quello per cui chi è sospettato di terrorismo, di assistenza a chi è accusato di associazione a delinquere o di corruzione, rientra nel perimetro dei destinatari delle misure di prevenzione personale e di natura patrimoniale, esattamente come i mafiosi. Cambiano le regole anche per la scelta degli amministratori giudiziari, che potranno essere scelti tra gli iscritti ad un Albo ad hoc. Uno dei punti, però, su cui secondo l’opposizione mancherebbe trasparenza. Tanto si è parlato di possibili nuovi “casi Saguto”. E poi c’è l’Agenzia per i Beni Confiscati, secondo alcuni depotenziata con la chiusura, tra le altre cose, della sede di Reggio Calabria.
Ecco quali sono le novità principali:
AIUTI AD IMPRESE CONFISCATE – Le imprese confiscate più “meritevoli” potranno fare affidamento su risorse previste da due fondi: il Fondo di garanzia da 3 milioni di euro l’anno e il Fondo per la Crescita sostenibile da 7 milioni l’anno.
BANCHE COLLUSE – Nel caso di ipoteca bancaria su un bene confiscato, se fosse verificata la mancata buonafede dell’istituto nel recupero del credito, è possibile che la domanda di ammissione sia rigettata con tanto di comunicazione a Bankitalia.
AGENZIA PER I BENI CONFISCATI – Uno dei punti su cui si sono concentrate diverse polemiche parlamentari, ma alla fine le modifiche introdotte dal Codice antimafia prevedono che l’Agenzia sia spostata da Reggio Calabria, che il direttore non sia necessariamente un prefetto ma potrà essere scelto in una rosa di figure professionali con caratteristiche specifiche, e avrà anche il compito di presiedere un nuovo organo interno con potere di esprime pareri e presentare proposte, il Comitato consultivo di indirizzo. Inoltre all’Agenzia per i beni confiscati viene attribuita la competenza sui sequestri di prevenzione e su quelli penali, una volta confermata anche in appello la sentenza di confisca.
SEQUESTRI – Viene esteso a tutti i beni aziendali il sequestro di partecipazioni sociali totalitarie, cui provvederà direttamente la polizia giudiziaria e non più l’ufficiale giudiziario, come accaduto fino ad ora. Il giudice può disporre anche lo sgombero, se il bene è sotto occupazione senza titolo, e una volta liberati possono essere dati in affitto a forze di polizia, forze armate o vigili del fuoco.
CORRUZIONE COME MAFIA – Chi è sospettato di terrorismo, di assistenza a chi è accusato di associazione a delinquere, o chi ha commesso reati contro la Pubblica Amministrazione (peculato, corruzione propria e impropria, in atti giudiziari, concussione e induzione indebita a dare o promettere utilità), rientra nel perimetro dei destinatari delle misure di prevenzione personale e di natura patrimoniale.
CONTROLLO GIUDIZIARIO – Nuova misura, che va da 1 a 3 anni, prevista nel caso in cui ci sia il rischio di infiltrazioni della malavita organizzata nelle società, condizionandone la vita e le attività. A farne richiesta possono essere anche gli stessi titolari, volontariamente.
AMMINISTRAZIONI GIUDIZIARIE – Cambiano le regole anche per la scelta degli amministratori giudiziari, che potranno essere scelti, a rotazione, tra gli iscritti ad un Albo ad hoc. Possono anche essere nominati contemporaneamente più amministratori giudiziari, in casi particolarmente complessi. Entro 3 mesi dalla nomina, l’amministratore giudiziario è tenuto a presentare una report sulle concrete possibilità di prosecuzione dell’attività dell’azienda confiscata, con tanto di censimento di creditori e lavoratori. Se non dovessero figurare opportunità di proseguire il proprio percorso, l’azienda dovrà essere messa in liquidazione o cessata, rispettando però modalità semplificate.