“La Lombardia è la seconda regione di ‘Ndrangheta sul piano nazionale, in gara con la regione originaria per il primato del fatturato. Ed è ormai una regione ad assoluta dominanza ‘ndranghetista”. È uno dei dati emersi dalla ricerca “Mafie ed Economia in Lombardia”, a cura di Cross – Osservatorio sulla Criminalità organizzata e Cgil Lombardia, firmata dal professor Nando Dalla Chiesa, docente di Sociologia della criminalità organizzata all’Università degli Studi di Milano, e presentata ieri.
Il predominio dei clan calabresi non significa che le altre organizzazioni mafiose siano sparite, anzi, ha spiegato Dalla Chiesa, “viene osservata una ripresa di attivismo da parte di quelle siciliane, e si registra una considerevole effervescenza, specie in alcuni settori dell’economia, di diversi gruppi camorristici. Oltre a rilevarsi nell’enclave bustocco la persistenza di una Mafia minore come la Stidda agrigentina”.
La ‘Ndrangheta regina della Lombardia occidentale
La presenza mafiosa “si concentra maggiormente nella Lombardia occidentale, il cui sviluppo industriale nei primi decenni del Dopoguerra ha funzionato da volano per lo spostamento nello spazio di centinaia di elementi legati ai clan, favorito e mimetizzato dal più generale movimento migratorio in partenza dalle regioni di origine delle organizzazioni mafiose”.
Il “West” lombardo, per Dalla Chiesa, “è un paesaggio però frastagliato. In esso un ruolo straordinariamente peculiare viene giocato da Milano e dal (già diverso) suo hinterland; mentre le province di confine di Como e di Varese spiccano per l’abilità con cui i clan che vi si sono radicati mettono a frutto la propria rendita di posizione, ovvero la vicinanza alla frontiera con le opportunità conseguenti. E mentre la posizione “riparata” e al tempo stesso contigua a Milano della provincia di Pavia ha fatto da calamita per clan e singoli, con la creazione di redditizie enclaves geografiche e sociali”.
Le mani dei clan sulla sanità, ristorazione e sport dilettantistici
L’abilità delle mafie è nella capacità di adeguarsi al mutamento del quadro economico regionale. Tanto che l’economia mafiosa, “un tempo circoscrivibile a una cerchia di attività illegali (droga, estorsioni, gioco d’azzardo) e a un campo ben definito di attività formalmente legali (movimento terra, edilizia, ristorazione, commercio all’ingrosso) ha ampliato l’area della propria presenza in misura preoccupante, al punto che si può parlare di una ubiquità economica mafiosa, nel senso che il fenomeno lo si può ormai incontrare in quasi tutti gli ambiti dell’economia, dalla sanità allo sport amatoriale”.
Il caso dei centri sportivi emerso a Milano “spiega che l’allargamento dell’influenza mafiosa viene cercato per strade nuove e inaspettate, anche creando la domanda di servizi (il caso del padel)”. D’altronde “un’economia che perde uno dopo l’altro pezzi di industria aprendosi senza sosta a nuovi servizi per il tempo libero, dalla ristorazione al benessere al divertimento, diventa fisiologicamente vulnerabile da soggetti magari poco istruiti ma titolari interposti di ragguardevoli liquidità”.
Lo studio presentato ieri disegna un sistema in forte movimento, tanto a livello di settori di attività quanto a livello geografico, come dimostra il corposo focus sulla provincia comasca, o anche l’effervescenza criminale registrata intorno al lago di Garda. E in cui, come si è visto, neanche le imprese multinazionali offrono purtroppo garanzie di impermeabilità, risultando anzi a volte facili prede delle organizzazioni mafiose, vuoi per organica insipienza a leggere i contesti, vuoi per un cinico disinteresse verso la terra che le ospita”.