Dopo un fine settimana di fuoco per il governo ieri è stato il giorno della ricerca dell’accordo. Pomo della discordia: la manovra “salvo intese”. E accordo, in linea di massima, è stato. Prima si sono resi necessari un faccia a faccia tra il premier e Luigi Di Maio, poi una serie di incontri bilaterali, cui ha partecipato anche il numero uno del Mef Roberto Gualtieri, con i capi delegazione dei partiti (M5S, Pd, Iv, LeU), infine il vertice di maggioranza, chiesto a gran voce da grillini e renziani. Giuseppe Conte e Roberto Gualtieri pronti a difendere l’impianto della manovra: i fondamentali non cambiano. Una presa di posizione che ha una ragione in più: il testo è stato già trasmesso a Bruxelles.
E in queste ore è arrivata dalla Commissione Ue una lettera con cui non si boccia la manovra ma si richiedono approfondimenti su alcune voci (coperture) e sul saldo strutturale che secondo la Nadef peggiora. Conte e Gualtieri dunque difendono l’impalcatura ma aprono alle modifiche sui dettagli. Che poi, quelli su cui hanno acceso i fari il M5S e Iv, dettagli non sono, considerando che in ballo ci sono misure che valgono due miliardi per il 2020, fra tasse ambientali, stretta sul forfait delle partite Iva, misure antievasione negli appalti e ritocchi fiscali sulla casa. L’intesa sarebbe stata trovata sulle modifiche alle multe per chi rifiuti l’uso del Pos, insieme a un abbassamento delle commissioni, e sull’inasprimento del carcere agli evasori oltre i 100mila euro.
Mentre sulla stretta alle partite Iva sarebbero ancora molti i dubbi. La manovra al momento prevede l’abolizione della flat tax al 20% per i professionisti che dichiarano da 65 a 100 mila euro. E per le partite Iva che dichiarano fino a 65mila euro e che rientrano nel regime della flat tax al 15% fissa alcuni paletti anti abusi, come i limiti alle spese per il personale e i beni strumentali a 20mila euro e il regime analitico per la determinazione del reddito e della fattura elettronica. M5S e Iv chiedono che questi paletti “punitivi” vengano rivisti. L’ipotesi di mediazione sarebbe farli saltare per quanti dichiarano fino a 30mila euro e dopo introdurre un doppio regime facoltativo, forfettario o analitico, premiando ad esempio sul fronte dei controlli chi sceglie il secondo.
La manovra prevede una sanzione di 30 euro più il 4% del valore della transazione per quanti non consentano di pagare con le carte. L’idea è ammorbidire la sanzione e abbattere i costi su Pos e pagamenti con moneta elettronica. I pentastellati chiedono che chi evade più di 100mila euro all’anno debba essere punito seriamente col carcere e la confisca per sproporzione. Ma sia Pd, che Iv e LeU frenano sulla richiesta di introdurre queste misure – su cui si è peraltro impegnato il premier – nel decreto fiscale. Insistono i renziani sulla cancellazione di Quota 100 e delle microtasse, dalla sugar tax ai ritocchi fiscali sulla casa (aumento delle imposte catastali e ipotecarie, innalzamento al 12,5% della cedolare secca sugli affitti calmierati).
Il Pd, invece, chiede di ripristinare il fondo Imu-Tasi per i Comuni e di abolire le comunicazioni trimestrali Iva per semplificare la vita a imprese e autonomi. “Quando si discute una manovra c’è sempre una discussione tra le forze politiche. L’importante è che avvenga con buon senso, senza risse”, dice il ministro Pd Dario Franceschini. La partita ora si sposta in Parlamento dove le modifiche prenderanno corpo.