C’è un fronte da cui lo Stato dovrebbe ripartire se volesse portare avanti una vera e concreta guerra agli interessi mafiosi. E no: non sono le intercettazioni e una loro pericolosa limitazione, come vorrebbe il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Come spesso si dice, d’altronde, per combattere gli interessi criminali bisogna mettersi sulle tracce degli interessi economici. Ecco perché sarebbe fondamentale non solo scovare ma anche utilizzare i beni che vengono confiscati alle mafie.
Un bene su tre di quelli confiscati alle mafie resta inutilizzato, e per lo Stato diventa addirittura un costo
I dati, infatti, non sono certamente entusiasmanti. Se in teoria, infatti, i beni confiscati alle criminalità organizzate dovrebbero essere poi destinati a un nuovo utilizzo cedendoli a privati o enti pubblici, le ultime statistiche (2021) ci dicono che un immobile su tre non trova alcuna destinazione. Impossibile? Basta leggere l’ultima relazione dell’Agenzia Nazionale per l’Amministrazione e la Destinazione dei Beni Confiscati e Sequestrati (ANBSC): su 19.225 cespiti gestiti dallo Stato, 6.486 sono in attesa di nuova assegnazione.
La domanda nasce spontanea: quali sono le ragioni di tale clamorosa inefficienza? Come spesso accade, se ne possono rintracciare più d’una. Per raggrupparle, l’Agenzia oggi diretta dal prefetto Bruno Corda, parla di generali condizioni di “non attrattività”, che vanno dal cattivo stato di manutenzione fino alla presenza di abusi. Senza dimenticare un altro aspetto: ovviamente a soffrire maggiormente sono gli immobili in periferia rispetto a quelli in centro città. Ma non è sempre così.
Un esempio? Un trilocale a due passi dalla sede della Luiss a Roma: la procedura per la locazione dell’abitazione è andata deserta per ben due volte. Ma c’è di più. Nel lungo elenco dell’Anbsc spiccano anche casi grotteschi. Ci sono infatti beni confiscati che non riescono ad essere utilizzati neanche quando vengono assegnati alle forze dell’ordine. Scorrendo le liste dell’Agenzia, spicca tanto per dire un complesso abitativo di 33 case a Guidonia-Montecelio, località “Piccini”.
L’immobile avrebbe dovuto “soddisfare le esigenze alloggiative degli appartenenti alle forze dell’ordine” dopo essere stato proprietà del clan Amato-Pagano. L’alloggio lo hanno ricevuto in cinque, mentre il bando per selezionare tutti gli altri aventi diritto è finito deserto, e le altre abitazioni sono state di fatto occupate da abusivi. E così inevitabilmente il rischio è che l’immobile sia sempre meno attrattivo usurandosi.
Nell’elenco del patrimonio disponibile del Comune di Reggio Calabria, tanto per fare un altro esempio, c’è un immobile al civico 79 sul lungomare della città, uno dei tratti più affascinanti del Mezzogiorno. L’appartamento era di proprietà di uno ‘ndranghetista. Oggi, dopo anni di inutilizzo, cade letteralmente a pezzi.
Un disastro totale, dunque, le cui responsabilità vanno trovate un po’ ovunque, considerando che – tanto per aggiungere un ulteriore tassello – la stessa relazione dell’Agenzia spiega che l’82% degli immobili è stata trasferita agli enti locali, il 13% è rimasto nella disponibilità dello Stato. Gli edifici venduti rappresentano il 4% del totale e solo l’1% è stato reintegrato nel patrimonio aziendale.
La Meloni alcune settimane fa ha annunciato di volersene occupare
Numeri che raccontano un disastro bello e buono. Da cui probabilmente ripartire. Perché intanto a sorridere sono le mafie. C’è da dire, a onor del vero, che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni pare ben consapevole del problema, tanto che alcune settimane fa ha annunciato di volersene occupare: “Ne stiamo discutendo col sottosegretario Mantovano, visto che il riuso dei beni della criminalità organizzata è un segnale fondamentale nella lotta alla mafia. Su questo si può e si deve fare di più”, ha detto.
Al momento, però, al di là degli annunci nulla è accaduto. Meglio parlare di intercettazioni e di giustizia, a quanto pare. Una strada, almeno per quanto è stato suggerito dalla stessa Agenzia che gestisce i beni sequestrati e confiscati, potrebbe essere l’istituzione di tavoli tecnici che coinvolgano tutti i soggetti interessati. Una strada intrapresa già in alcune circostanze e da cui eventualmente ripartire.