“Con i bombardamenti è a rischio la vita degli ostaggi”. Hamas prova a fare pressioni su Israele, ma Netanyahu tira dritto: “Liberateli o per voi sarà sempre peggio”

Hamas prova a fare pressioni su Israele: "Mettete a rischio la vita degli ostaggi". Ma Bibi tira dritto: "Liberateli o sarà sempre peggio"

“Con i bombardamenti è a rischio la vita degli ostaggi”. Hamas prova a fare pressioni su Israele, ma Netanyahu tira dritto: “Liberateli o per voi sarà sempre peggio”

Con i negoziati per la pace a Gaza ormai del tutto fermi e i combattimenti che da giorni sono tornati a devastare la Striscia, a rischiare la vita sono anche gli ostaggi israeliani ancora nelle mani di Hamas.

Ad affermarlo, probabilmente nel tentativo di convincere il primo ministro Benjamin Netanyahu a tornare a negoziare un accordo per porre fine alla guerra che sta sconvolgendo il Medio Oriente, è il movimento palestinese, che in un comunicato ha dichiarato: “Se Israele continuerà a percorrere l’opzione militare per ottenere la restituzione dei suoi cittadini prigionieri a Gaza, gli ostaggi torneranno nelle bare”.

Un macabro messaggio – che deve essere condannato senza se e senza ma – con cui il gruppo palestinese spera di riportare Israele al tavolo delle trattative. Tuttavia, non ha sortito effetto.

Anzi, Netanyahu ha ribadito con fermezza la necessità di proseguire il conflitto: parlando ad Haaretz, ha affermato chiaramente:
“I combattimenti a Gaza continuano. Più Hamas insiste nel suo rifiuto di rilasciare i nostri ostaggi, più potente sarà la pressione contro di loro. E dico questo ad Hamas: questo comprende la conquista di territori e altre cose che non spiegherò qui”.

Botta e risposta tra Hamas e Netanyahu

Parole a cui hanno fatto seguito nuovi e violenti raid sulla Striscia, dove, dalla ripresa delle ostilità avvenuta il 18 marzo, sono già state registrate almeno 830 vittime. Particolarmente drammatica è la situazione nel nord dell’enclave palestinese dove, secondo quanto riporta Al-Aqsa TV, la pioggia di bombe israeliane in meno di 24 ore ha causato oltre 20 morti, tra cui cinque bambini.

Duramente colpita anche Khan Younis, nel sud della Striscia, dove tra le vittime figura il corrispondente del quotidiano giapponese Asahi Shimbun, Mohammed Mansour, morto durante l’esplosione di un missile che ha centrato in pieno la sua abitazione. Al momento sono ancora in corso accertamenti sulle condizioni della moglie e del figlio neonato.

A darne notizia è stato il popolare quotidiano di Tokyo – con una tiratura di oltre tre milioni di copie al giorno – che ha condannato “gli attacchi contro i civili, compresi i giornalisti”, affermando che “non possono essere tollerati in nessuna circostanza”. Il giornale ha inoltre ricordato che il numero totale di giornalisti uccisi a Gaza, dall’inizio dell’offensiva militare israeliana nell’ottobre 2023, è salito a 208.

Netanyahu senza pietà

Come accade spesso in questi casi, l’esercito israeliano (IDF) ha giustificato i propri attacchi parlando di “raid mirati” contro gruppi terroristici, mentre le autorità palestinesi smentiscono questa ricostruzione, denunciando “attacchi indiscriminati” contro la popolazione civile.

Quel che è certo è che, in questa folle guerra, sono i palestinesi a pagare il prezzo più alto. Lo conferma ancora una volta l’ONU, secondo cui in soli otto giorni di conflitto “più di 120.000 palestinesi sono stati costretti” – in seguito a un ordine di sfollamento diramato dall’IDF – ad abbandonare “un’area della Striscia di Gaza grande quanto Manhattan”. Un provvedimento che rischia di provocare un’emergenza umanitaria, anche a causa dello stop – iniziato lo scorso 2 marzo – alle forniture di aiuti occidentali.

In risposta agli attacchi, come prevedibile, Hamas ha lanciato due razzi verso Israele, entrambi intercettati dal sistema difensivo dello Stato ebraico, fortunatamente senza causare vittime.

Su Gaza gli Stati Uniti gettano altra benzina sul fuoco

Di fronte all’escalation in corso e al silenzio dell’Unione Europea, da Washington si preferisce gettare ulteriore benzina sul fuoco. L’ambasciatore designato degli Stati Uniti in Israele, l’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee, ha ribadito la posizione pro-Israele degli USA e ha criticato l’eventualità della creazione di uno Stato palestinese, affermando che la “soluzione dei due Stati, l’idea che ognuno vivrà insieme in pace, non succederà se una delle due parti crede che l’altra non abbia diritto a esistere”.

Per questo motivo, in linea con quanto stabilito dall’ex presidente Trump, Huckabee ha dichiarato che Washington continuerà a sostenere Tel Aviv nel suo progetto di ampliamento delle colonie e negli eventuali piani di annessione di porzioni della Striscia di Gaza, come annunciato dal governo israeliano.