Appena ottenuto l’aumento delle tariffe, il gigante delle autostrade italiane che fa capo al gruppo Atlantia è andato a portare i nostri soldi all’estero, comprando prima una partecipazione del tunnel sotto la Manica e poi cercando di concludere la difficile conquista delle autostrade spagnole. Non certo mosse elegantissime verso il Paese che ne ha fatto diventare ricchi come Creso gli azionisti di riferimento: la famiglia Benetton. La bruttissima figura appena inferta dalla Corte di Appello di Roma è però persino peggio perchè certifica che un tale colosso economico ha installato sulla rete i Tutor per il controllo della velocità senza averne il brevetto. E poi, di fronte alle legittime richieste di pagamento da parte di chi aveva inventato lo strumento, ha resistito in giudizio per oltre dodici anni. Una storia che al di là di ogni considerazione non fa onore al concessionario pubblico e ai suoi manager, a partire dall’amministratore delegato Giovanni Castellucci, che per realizzare un risparmio all’inizio certamente non ingente hanno esposto la loro società al rischio di dover ripagare anni dopo un enorme risarcimento. Basti pensare che il legittimo inventore aveva chiesto un ristoro di 7,5 miliardi di euro. Soldi che i giudici hanno deciso di non far sborsare ad Autostrade per l’Italia, che però dovrà disinstallare tutti i Tutor esistenti e pagare 500 euro per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione di quanto disposto nella sentenza. Una vittoria dunque non solo morale per un ex tecnico della società Galileo, Romolo Donnini, fondatore della Craft, la piccola azienda di Greve in Chianti che aveva ideato il rilevatore e dopo averlo brevettato lo aveva offerto proprio ad Autostrade per l’Italia.
UN CONCESSIONARIO, MILLE DUBBI
Il gruppo all’epoca rifiutò il progetto, ma poco dopo lo introdusse pressoché identico sulle nostre autostrade. Per questo Donnini, assistito dal professor Vincenzo Vigoriti e dall’avvocato Donato Nitti, avviò il braccio di ferro processuale appena concluso. Autostrade per l’Italia adesso dovrà pagare pure le spese legali, oltre che astenersi dal fabbricare, commercializzare e utilizzare il sistema in violazione del brevetto, a meno che non lo acquisti regolarmente.
In questa battaglia giudiziaria capace di evocare la lotta tra Davide e Golia, la società Autostrade per l’Italia è condannata da un tribunale che recependo diversi altri pronunciamenti della magistratura ne accerta l’insussistenza di quanto dichiarato in tutti i precedenti gradi di giudizio. Un comportamento che secondo quanto ipotizzato da più parti potrebbe non essere dissimile per gli investimenti effettuati sulla rete autostradale sin da quando è in possesso delle concessioni pubbliche. Volumi che non hanno un mero significato statistico, ma che concorrono a determinare le tariffe applicate ai caselli. Parallelamente ai sospetti sugli investimenti dichiarati – controllati da un’Anas che in passato su vicende diverse ha chiuso non un occhio ma tutti e due – sempre Autostrade per l’Italia è al centro di un tentativo di farsi allungare le concessioni dello Stato per altri decenni, ovviamente senza sottoporsi a una normale gara, grazie a una normativa europea che la stessa società con un forte supporto lobbistico ha concorso a scrivere. Ovviamente nel silenzio di politica e stampa mainstream.
LA NOTIZIA AVEVA GIA’ DOCUMENTATO TUTTO NEL 2016
La storia aveva quasi dell’incredibile perché si faceva fatica a credere che un concessionario dello Stato possa arrivare a impossessarsi di un progetto offerto da una piccola società di ingegneria, arrivando a ignorarne un brevetto. La Notizia aveva però visionato le carte processuali e il 30 settembre 2016 aveva documentato la vicenda che adesso è arrivata al capolinea in tribunale con la condanna di Autostrade per l’Italia. Una sentenza che “salva” il gruppo guidato da Giovanni Castellucci da un possibile risarcimento “monstre” ma che porta adesso il gruppo a una imbarazzante perdita di credibilità oltre che provare il fortissimo rischio di un maxi esborso fatto correre dai manager agli azionisti.