Ancora bombe. Ancora made in Italy. Ancora verso l’Arabia, Paese impegnato in una guerra illegittima in Yemen, che ha causato qualcosa come tre milioni di profughi, 18,8 milioni di persone (due terzi della popolazione yemenita) dipendenti totalmente dagli aiuti umanitari, quasi 5mila civili morti e più di 8mila feriti. L’Italia, però, pare non accorgersi del problema. A nulla sono servite le ben due Risoluzioni votate dal Parlamento europeo (a febbraio 2016 e a metà giugno di quest’anno) che in entrambi i casi ha richiesto di “avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’Ue di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale paese nello Yemen”.
Niente. Silenzio. Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, non proferisce parola, né tantomeno lo fa il premier Paolo Gentiloni. E così, nel silenzio ingombrante del Governo, continuano a partire bombe, prodotte dalla Rwm Italia, azienda che rientra sotto l’egida della Rehinmetall, la multinazionale tedesca che ovviamente si guarda bene dal commerciare direttamente dalla madrepatria, scaricando l’incombenza alla succursale italiana. La tratta, come denunciato ancora una volta tramite un video dal deputato di Unidos Mauro Pili, è sempre la stessa: la base di partenza è Domusnovas, nel Sulcis, per poi arrivare a un porto sardo, questa volta quello di Olbia. “Ma con l’ultimo carico c’è un particolare ancora più inquietante”, dice a LaNotizia Pili. “I carabinieri hanno scortato lungo tutto il tragitto il carico, da Domusnvas fino al porto di Olbia, 330km all’andata e 300 al ritorno. Era la prima volta che accadeva, segno che il carico era particolarmente delicato”.
A dare altri dettagli sul lungo viaggio armato, ci ha pensato Roberto Cotti, senatore M5S anche lui sempre molto attento al tema. Da Olbia, ha spiegato Cotti, il carico è approdato a Piombino. Dopodiché sarebbe arrivato a Genova e, con una nave battente bandiera del Singapore, è arrivata ieri pomeriggio a Port Said, in Egitto, per proseguire la sua tratta attraverso lo stretto si Suez per arrivare a Jeddah. Una triangolazione che lascia non poche ombre. Ma tant’è.
Silenzi pesanti – Il Governo intanto resta in silenzio, mentre in Yemen si continua a morire, in quella che associazioni e pacifisti hanno definito “uno dei conflitti più drammatici e gravi al mondo”. Sviluppi però, potrebbero esserci a breve. Alle due inchieste già aperte (una dalla Procura di Roma e una da quella di Brescia), ora potrebbe aggiungersene una terza, dato che la questione pare essere attenzionata anche dalla Procura di Tempio. Senza dimenticare l’iniziativa delle associazioni pacifiste (da Archivio Disarmo ad Amnesty Internationale, da Oxfam fino a Medici Senza Frontiere) che hanno presentato pochi giorni fa una proposta di mozione parlamentare per interrompere la vendita di armi all’Arabia. “Stanno aderendo diversi parlamentari di opposizione – ci conferma Maurizio Simoncelli, vicepresidente di Archivio Disarmo – da Sinistra Italiana a Mdp. Anche i Cinque Stelle aderiranno, o direttamente alla nostra mozione o presentandone una loro ma simile”. “L’obiettivo però – continua Simoncelli – è di coinvolgere tutto l’arco parlamentare”. Sarebbe, questa, una soluzione ottimale per fare pressione sul Governo che, specie negli ultimi anni, non ha dato segni distensivi in questo senso. Nonostante mille denunce e mille pressioni, infatti, ci conferma ancora Simoncelli, “più che segnali di apertura, abbiamo visto una sempre maggiore progressiva chiusura. Basti pensare a quanto detto nei mesi scorsi sia dal ministro Pinotti che dall’ex ministro degli Esteri e attuale premier, Paolo Gentiloni: entrambi giustificarono il commercio verso l’Arabia, ritenendolo legittimo”. Fa niente per le vittime, i diseredati e i tanti civili costretti a fuggire dalla guerra. Pecunia non olet. E i morti non restano sulla coscienza.
Tw: @CarmineGazzanni